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IV: Fu così
Un giorno, a caccia, mi fermai, stranamente impressionato, innanzi a un pagliajo nano e panciuto, che aveva un pentolino in cima allo stollo. - Ti conosco, - gli dicevo, - ti conosco... Poi, a un tratto, esclamai: - To'! Batta Malagna. Presi un tridente, ch'era lì per terra, e glielo infissi nel pancione con tanta voluttà, che il pentolino in cima allo stollo per poco non cadde. Ed ecco Batta Malagna, quando, sudato e sbuffante, portava il cappello su le ventitré. Scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione di qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolava il naso su i baffi melensi e sul pizzo; gli scivolavano dall'attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione languido, enorme, quasi fino a terra, perché, data l'imminenza di esso su le gambette tozze, il sarto, per vestirgli quelle gambette, era costretto a tagliargli quanto mai agiati i calzoni; cosicché, da lontano, pareva che indossasse invece, bassa bassa, una veste, e che la pancia gli arrivasse fino a terra. Ora come, con una faccia e con un corpo così fatti, Malagna potesse esser tanto ladro, io non so. Anche i ladri m'immagino, debbono avere una certa impostatura, ch'egli mi pareva non avesse. Andava piano, con quella sua pancia pendente, sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua voce molle, miagolante! Mi piacerebbe sapere com'egli li ragionasse con la sua propria coscienza i furti che di continuo perpetrava a nostro danno. Non avendone, come ho detto, alcun bisogno, una ragione a se stesso, una scusa, doveva pur darla. Forse, io dico, rubava per distrarsi in qualche modo, pover'uomo. Doveva essere infatti, entro di sé, tremendamente afflitto da una di quelle mogli che si fanno rispettare. Aveva commesso l'errore di scegliersi la moglie d'un paraggio superiore al suo, ch'era molto basso. Or questa donna, sposata a un uomo di condizione pari alla sua, non sarebbe stata forse così fastidiosa com'era con lui, a cui naturalmente doveva dimostrare, a ogni minima occasione, ch'ella nasceva bene e che a casa sua si faceva così e così. Ed ecco il Malagna, obbediente, far così e così, come diceva lei - per parere un signore anche lui. - Ma gli costava tanto! Sudava sempre, sudava. Per giunta, la signora Guendalina poco dopo il matrimonio, si ammalò d'un male di cui non poté più guarire, giacché, per guarirne, avrebbe dovuto fare un sacrifizio superiore alle sue forze: privarsi nientemeno di certi pasticcini coi tartufi, che le piacevano tanto, e di simili altre golerie, e anche, anzi soprattutto, del vino. Non che ne bevesse molto; sfido! nasceva bene: ma non avrebbe dovuto berne neppure un dito, ecco. Io e Berto, giovinetti, eravamo qualche volta invitati a pranzo dal Malagna. Era uno spasso sentirgli fare, coi dovuti riguardi, una predica alla moglie su la continenza, mentre lui mangiava, divorava con tanta voluttà i cibi più succulenti: - Non ammetto, - diceva, - che per il momentaneo piacere che prova la gola al passaggio d'un boccone, per esempio, come questo - (e giù il boccone) - si debba poi star male un'intera giornata. Che sugo c'è? Io son certo che me ne sentirei, dopo, profondamente avvilito. Rosina! - (chiamava la serva) - Dammene ancora un po'. Buona, questa salsa majonese! - Majonese! - scattava allora la moglie inviperita. - Basta così! Guarda, il Signore dovrebbe farti provare che cosa vuol dire star male di stomaco. Impareresti ad aver considerazione per tua moglie. - Come, Guendalina! Non ne ho? - esclamava Malagna, mentre si versava un po' di vino. La moglie, per tutta risposta, si levava da sedere, gli toglieva dalle mani il bicchiere e andava a buttare il vino dalla finestra. - E perché? - gemeva quello, restando. E la moglie: - Perché per me è veleno! Me ne vedi versare un dito nel bicchiere? Toglimelo, e va' a buttarlo dalla finestra, come ho fatto io, capisci? Malagna guardava, mortificato, sorridente, un po' Berto, un po' me, un po' la finestra, un po' il bicchiere; poi diceva: - Oh Dio, e che sei forse una bambina? Io, con la violenza? Ma no, cara: tu, da te, con la ragione dovresti importelo il freno... - E come? - gridava la moglie. - Con la tentazione sotto gli occhi? vedendo te che ne bevi tanto e te l'assapori e te lo guardi controlume, per farmi dispetto? Va' là, ti dico! Se fossi un altro marito, per non farmi soffrire... Ebbene, Malagna arrivò fino a questo: non bevve più vino, per dare esempio di continenza alla moglie, e per non farla soffrire. Poi - rubava... Eh sfido! Qualche cosa bisognava pur che facesse. Se non che, poco dopo, venne a sapere che la signora Guendalina se lo beveva di nascosto, lei, il vino. Come se, per non farle male, potesse bastare che il marito non se ne accorgesse. E allora anche lui, Malagna, riprese a bere, ma fuor di casa, per non mortificare la moglie. Seguitò tuttavia a rubare, è vero. Ma io so ch'egli desiderava con tutto il cuore dalla moglie un certo compenso alle afflizioni senza fine che gli procurava; desiderava cioè che ella un bel giorno si fosse risoluta a mettergli al mondo un figliuolo. Ecco! Il furto allora avrebbe avuto uno scopo, una scusa. Che non si fa per il bene dei figliuoli? La moglie però deperiva di giorno in giorno, e Malagna non osava neppure di esprimerle questo suo ardentissimo desiderio. Forse ella era anche sterile, di natura. Bisognava aver tanti riguardi per quel suo male. Che se poi fosse morta di parto, Dio liberi?... E poi c'era anche il rischio che non portasse a compimento il figliuolo. Così si rassegnava. Era sincero? Non lo dimostrò abbastanza alla morte della signora Guendalina. La pianse, oh la pianse molto, e sempre la ricordò con una devozione così rispettosa che, al posto di lei, non volle più mettere un'altra signora - che! che! - e lo avrebbe potuto bene, ricco come già s'era fatto; ma prese la figlia d'un fattore di campagna, sana, florida, robusta e allegra; e così unicamente perché non potesse esser dubbio che ne avrebbe avuto la prole desiderata. Se si affrettò un po' troppo, via... bisogna pur considerare che non era più un giovanotto e tempo da perdere non ne aveva. Oliva, figlia di Pietro Salvoni, nostro fattore a Due Riviere, io la conoscevo bene, da ragazza. Per cagion sua, quante speranze non feci concepire alla mamma: ch'io stessi cioè per metter senno e prender gusto alla campagna. Non capiva più nei panni, dalla consolazione, poveretta! Ma un giorno la terribile zia Scolastica le aprì gli occhi: - E non vedi, sciocca, che va sempre a Due Riviere? - Sì, per il raccolto delle olive. - D'un'oliva, d'un'oliva, d'un'oliva sola, bietolona! La mamma allora mi fece una ramanzina coi fiocchi: che mi guardassi bene dal commettere il peccato mortale d'indurre in tentazione e di perdere per sempre una povera ragazza, ecc., ecc. Ma non c'era pericolo. Oliva era onesta, di una onestà incrollabile, perché radicata nella coscienza del male che si sarebbe fatto, cedendo. Questa coscienza appunto le toglieva tutte quelle insulse timidezze de' finti pudori, e la rendeva ardita e sciolta. Come rideva! Due ciriege, le labbra. E che denti! Ma, da quelle labbra, neppure un bacio; dai denti, sì, qualche morso, per castigo, quand'io la afferravo per le braccia e non volevo lasciarla se prima non le allungavo un bacio almeno su i capelli. Nient'altro. Ora, così bella, così giovane e fresca, moglie di Batta Malagna... Mah! Chi ha il coraggio di voltar le spalle a certe fortune? Eppure Oliva sapeva bene come il Malagna fosse diventato ricco! Me ne diceva tanto male, un giorno, poi, per questa ricchezza appunto, lo sposò. Passa intanto un anno dalle nozze; ne passano due; e niente figliuoli. Malagna, entrato da tanto tempo nella convinzione che non ne aveva avuti dalla prima moglie solo per la sterilità o per la infermità continua di questa, non concepiva ora neppur lontanamente il sospetto che potesse dipender da lui. E cominciò a mostrare il broncio a Oliva. - Niente? - Niente. Aspettò ancora un anno, il terzo: invano. Allora prese a rimbrottarla apertamente; e in fine, dopo un altro anno, ormai disperando per sempre, al colmo dell'esasperazione, si mise a malmenarla senza alcun ritegno; gridandole in faccia che con quella apparente floridezza ella lo aveva ingannato, ingannato, ingannato; che soltanto per aver da lei un figliuolo egli l'aveva innalzata fino a quel posto, già tenuto da una signora, da una vera signora, alla cui memoria, se non fosse stato per questo, non avrebbe fatto mai un tale affronto. La povera Oliva non rispondeva, non sapeva che dire; veniva spesso a casa nostra per sfogarsi con mia madre, che la confortava con buone parole a sperare ancora, poiché infine era giovane, tanto giovane: - Vent'anni? - Ventidue... E dunque, via! S'era dato più d'un caso d'aver figliuoli anche dopo dieci, anche dopo quindici anni dal giorno delle nozze. - Quindici? Ma, e lui? Lui era già vecchio; e se... A Oliva era nato fin dal primo anno il sospetto che, via, tra lui e lei - come dire? - la mancanza potesse più esser di lui che sua, non ostante che egli si ostinasse a dir di no. Ma se ne poteva far la prova? Oliva, sposando, aveva giurato a se stessa di mantenersi onesta, e non voleva, neanche per riacquistar la pace, venir meno al giuramento. Come le so io queste cose? Oh bella, come le so!... Ho pur detto che ella veniva a sfogarsi a casa nostra; ho detto che la conoscevo da ragazza; ora la vedevo piangere per l'indegno modo d'agire e la stupida e provocante presunzione di quel laido vecchiaccio, e... debbo proprio dir tutto? Del resto, fu no; e dunque basta. Me ne consolai presto. Avevo allora, o credevo d'avere (ch'è lo stesso) tante cose per il capo. Avevo anche quattrini, che - oltre al resto - forniscono pure certe idee, le quali senza di essi non si avrebbero. Mi ajutava però maledettamente a spenderli Gerolamo II Pomino, che non ne era mai provvisto abbastanza, per la saggia parsimonia paterna. Mino era come l'ombra nostra; a turno, mia e di Berto; e cangiava con meravigliosa facoltà scimmiesca, secondo che praticava con Berto o con me. Quando s'appiccicava a Berto, diventava subito un damerino; e il padre allora, che aveva anche lui velleità d'eleganza, apriva un po' la bocca al sacchetto. Ma con Berto ci durava poco. Nel vedersi imitato finanche nel modo di camminare, mio fratello perdeva subito la pazienza, forse per paura del ridicolo, e lo bistrattava fino a cavarselo di torno. Mino allora tornava ad appiccicarsi a me; e il padre a stringer la bocca al sacchetto. Io avevo con lui più pazienza, perché volentieri pigliavo a godermelo. Poi me ne pentivo. Riconoscevo d'aver ecceduto per causa sua in qualche impresa, o sforzato la mia natura o esagerato la dimostrazione de' miei sentimenti per il gusto di stordirlo o di cacciarlo in qualche impiccio, di cui naturalmente soffrivo anch'io le conseguenze. Ora Mino, un giorno, a caccia, a proposito del Malagna, di cui gli avevo raccontato le prodezze con la moglie, mi disse che aveva adocchiato una ragazza, figlia d'una cugina del Malagna appunto, per la quale avrebbe commesso volentieri qualche grossa bestialità. Ne era capace; tanto più che la ragazza non pareva restìa; ma egli non aveva avuto modo finora neppur di parlarle. - Non ne avrai avuto il coraggio, va' là! - dissi io ridendo. Mino negò; ma arrossì troppo, negando. - Ho parlato però con la serva, - s'affrettò a soggiungermi. - E n'ho saputo di belle, sai? M'ha detto che il tuo Malanno lo han lì sempre per casa, e che, così all'aria, le sembra che mediti qualche brutto tiro, d'accordo con la cugina, che è una vecchia strega. - Che tiro? - Mah, dice che va lì a piangere la sua sciagura di non aver figliuoli. La vecchia, dura, arcigna, gli risponde che gli sta bene. Pare che essa, alla morte della prima moglie del Malagna, si fosse messo in capo di fargli sposare la propria figliuola e si fosse adoperata in tutti i modi per riuscirvi; che poi, disillusa, n'abbia detto di tutti i colori all'indirizzo di quel bestione, nemico dei parenti, traditore del proprio sangue, ecc., ecc., e che se la sia presa anche con la figliuola che non aveva saputo attirare a sé lo zio. Ora, infine, che il vecchio si dimostra tanto pentito di non aver fatto lieta la nipote, chi sa qual'altra perfida idea quella strega può aver concepito. Mi turai gli orecchi con le mani, gridando a Mino: - Sta' zitto! Apparentemente, no; ma in fondo ero pur tanto ingenuo, in quel tempo. Tuttavia - avendo notizia delle scene ch'erano avvenute e avvenivano in casa Malagna - pensai che il sospetto di quella serva potesse in qualche modo esser fondato, e volli tentare, per il bene d'Oliva, se mi fosse riuscito d'appurare qualche cosa. Mi feci dare da Mino il recapito di quella strega. Mino mi si raccomandò per la ragazza. - Non dubitare, - gli risposi. - La lascio a te, che diamine! E il giorno dopo, con la scusa d'una cambiale, di cui per combinazione quella mattina stessa avevo saputo dalla mamma la scadenza in giornata, andai a scovar Malagna in casa della vedova Pescatore. Avevo corso apposta, e mi precipitai dentro tutto accaldato e in sudore. - Malagna, la cambiale! Se già non avessi saputo ch'egli non aveva la coscienza pulita, me ne sarei accorto senza dubbio quel giorno vedendolo balzare in piedi pallido, scontraffatto, balbettando: - Che... che cam..., che cambiale? - La cambiale così e così, che scade oggi... Mi manda la mamma, che n'è tanto impensierita! Batta Malagna cadde a sedere, esalando in un ah interminabile tutto lo spavento che per un istante lo aveva oppresso. - Ma fatto!... tutto fatto!... Perbacco, che soprassalto... L'ho rinnovata, eh? a tre mesi, pagando i frutti, s'intende. Ti sei davvero fatta codesta corsa per così poco? E rise, rise, facendo sobbalzare il pancione; m'invitò a sedere; mi presentò alle donne. - Mattia Pascal. Marianna Dondi, vedova Pescatore, mia cugina. Romilda, mia nipote. Volle che, per rassettarmi dalla corsa, bevessi qualcosa. - Romilda, se non ti dispiace... Come se fosse a casa sua. Romilda si alzò, guardando la madre, per consigliarsi con gli occhi di lei, e poco dopo, non ostanti le mie proteste, tornò con un piccolo vassojo su cui era un bicchiere e una bottiglia di vermouth. Subito, a quella vista, la madre si alzò indispettita, dicendo alla figlia: - Ma no! ma no! Da' qua! Le tolse il vassojo dalle mani e uscì per rientrare poco dopo con un altro vassojo di lacca, nuovo fiammante, che reggeva una magnifica rosoliera: un elefante inargentato, con una botte di vetro sul groppone, e tanti bicchierini appesi tutt'intorno, che tintinnivano. Avrei preferito il vermouth. Bevvi il rosolio. Ne bevvero anche il Malagna e la madre. Romilda, no. Mi trattenni poco, quella prima volta, per avere una scusa a tornare: dissi che mi premeva di rassicurar la mamma intorno a quella cambiale, e che sarei venuto di lì a qualche giorno a goder con più agio della compagnia delle signore. Non mi parve, dall'aria con cui mi salutò, che Marianna Dondi, vedova Pescatore, accogliesse con molto piacere l'annunzio d'una mia seconda visita: mi porse appena la mano: gelida mano, secca, nodosa, gialliccia; e abbassò gli occhi e strinse le labbra. Mi compensò la figlia con un simpatico sorriso che prometteva cordiale accoglienza, e con uno sguardo, dolce e mesto a un tempo, di quegli occhi che mi fecero fin dal primo vederla una così forte impressione: occhi d'uno strano color verde, cupi, intensi, ombreggiati da lunghissime ciglia; occhi notturni, tra due bande di capelli neri come l'ebano, ondulati, che le scendevano su la fronte e su le tempie, quasi a far meglio risaltare la viva bianchezza de la pelle. La casa era modesta; ma già tra i vecchi mobili si notavano parecchi nuovi venuti, pretensiosi e goffi nell'ostentazione della loro novità troppo appariscente: due grandi lumi di majolica, per esempio, ancora intatti, dai globi di vetro smerigliato, di strana foggia, su un'umilissima mensola dal piano di marmo ingiallito, che reggeva uno specchio tetro in una cornice tonda, qua e là scrostata, la quale pareva si aprisse nella stanza come uno sbadiglio d'affamato. C'era poi, davanti al divanuccio sgangherato, un tavolinetto con le quattro zampe dorate e il piano di porcellana dipinto di vivacissimi colori; poi uno stipetto a muro, di lacca giapponese, ecc., ecc., e su questi oggetti nuovi gli occhi di Malagna si fermavano con evidente compiacenza, come già su la rosoliera recata in trionfo dalla cugina vedova Pescatore. Le pareti della stanza eran quasi tutte tappezzate di vecchie e non brutte stampe, di cui il Malagna volle farmi ammirare qualcuna, dicendomi ch'erano opera di Francesco Antonio Pescatore, suo cugino, valentissimo incisore (morto pazzo, a Torino, - aggiunse piano), del quale volle anche mostrarmi il ritratto. - Eseguito con le proprie mani, da sé, davanti allo specchio. Ora io, guardando Romilda e poi la madre, avevo poc'anzi pensato: « Somiglierà al padre! ». Adesso, di fronte al ritratto di questo, non sapevo più che pensare. Non voglio arrischiare supposizioni oltraggiose. Stimo, è vero, Marianna Dondi, vedova Pescatore, capace di tutto; ma come immaginare un uomo, e per giunta bello, capace d'essersi innamorato di lei? Tranne che non fosse stato un pazzo più pazzo del marito. Riferii a Mino le impressioni di quella prima visita. Gli parlai di Romilda con tal calore d'ammirazione, ch'egli subito se ne accese, felicissimo che anche a me fosse tanto piaciuta e d'aver la mia approvazione. Io allora gli domandai che intenzioni avesse: la madre, sì, aveva tutta l'aria d'essere una strega; ma la figliuola, ci avrei giurato, era onesta. Nessun dubbio su le mire infami del Malagna; bisognava dunque, a ogni costo, al più presto, salvare la ragazza. - E come? - mi domandò Pomino, che pendeva affascinato dalle mie labbra. - Come? Vedremo. Bisognerà prima di tutto accertarsi di tante cose; andare in fondo; studiar bene. Capirai, non si può mica prendere una risoluzione così su due piedi. Lascia fare a me: t'ajuterò. Codesta avventura mi piace. - Eh... ma... - obbiettò allora Pomino, timidamente, cominciando a sentirsi sulle spine nel vedermi così infatuato. - Tu diresti forse... sposarla? - Non dico nulla, io, per adesso. Hai paura, forse? - No, perché? - Perché ti vedo correre troppo. Piano piano, e rifletti. Se veniamo a conoscere ch'ella è davvero come dovrebbe essere: buona, saggia, virtuosa (bella è, non c'è dubbio, e ti piace, non è vero?) - oh! poniamo ora che veramente ella sia esposta, per la nequizia della madre e di quell'altra canaglia, a un pericolo gravissimo, a uno scempio, a un mercato infame: proveresti ritegno innanzi a un atto meritorio, a un'opera santa, di salvazione? - Io no... no! - fece Pomino. - Ma... mio padre? - S'opporrebbe? Per qual ragione? Per la dote, è vero? Non per altro! Perché ella, sai? è figlia d'un artista, d'un valentissimo incisore, morto... sì, morto bene, insomma, a Torino... Ma tuo padre è ricco, e non ha che te solo: ti può dunque contentare, senza badare alla dote! Che se poi, con le buone, non riesci a vincerlo, niente paura: un bel volo dal nido, e s'aggiusta ogni cosa. Pomino, hai il cuore di stoppa? Pomino rise, e io allora gli dimostrai quattro e quattr'otto che egli era nato marito, come si nasce poeta. Gli descrissi a vivi colori, seducentissimi, la felicità della vita coniugale con la sua Romilda; l'affetto, le cure, la gratitudine ch'ella avrebbe avuto per lui, suo salvatore. E, per concludere: - Tu ora, - gli dissi, - devi trovare il modo e la maniera di farti notare da lei e di parlarle o di scriverle. Vedi, in questo momento, forse, una tua lettera potrebbe essere per lei, assediata da quel ragno, un'àncora di salvezza. Io intanto frequenterò la casa; starò a vedere; cercherò di cogliere l'occasione di presentarti. Siamo intesi? - Intesi. Perché mostravo tanta smania di maritar Romilda? - Per niente. Ripeto: per il gusto di stordire Pomino. Parlavo e parlavo, e tutte le difficoltà sparivano. Ero impetuoso, e prendevo tutto alla leggera. Forse per questo, allora, le donne mi amavano, non ostante quel mio occhio un po' sbalestrato e il mio corpo da pezzo da catasta. Questa volta, però, - debbo dirlo - la mia foga proveniva anche dal desiderio di sfondare la trista ragna ordita da quel laido vecchio, e farlo restare con un palmo di naso; dal pensiero della povera Oliva; e anche - perché no? - dalla speranza di fare un bene a quella ragazza che veramente mi aveva fatto una grande impressione. Che colpa ho io se Pomino eseguì con troppa timidezza le mie prescrizioni? che colpa ho io se Romilda, invece d'innamorarsi di Pomino, s'innamorò di me, che pur le parlavo sempre di lui? che colpa, infine, se la perfidia di Marianna Dondi, vedova Pescatore, giunse fino a farmi credere ch'io con la mia arte, in poco tempo, fossi riuscito a vincere la diffidenza di lei e a fare anche un miracolo: quello di farla ridere più d'una volta, con le mie uscite balzane? Le vidi a poco a poco ceder le armi; mi vidi accolto bene; pensai che, con un giovanotto lì per casa, ricco (io mi credevo ancora ricco) e che dava non dubbii segni di essere innamorato della figlia, ella avesse finalmente smesso la sua iniqua idea, se pure le fosse mai passata per il capo. Ecco: ero giunto finalmente a dubitarne! Avrei dovuto, è vero, badare al fatto che non m'era più avvenuto d'incontrarmi col Malagna in casa di lei, e che poteva non esser senza ragione ch'ella mi ricevesse soltanto di mattina. Ma chi ci badava? Era, del resto, naturale, poiché io ogni volta, per aver maggior libertà, proponevo gite in campagna, che si fanno più volentieri di mattina. Mi ero poi innamorato anch'io di Romilda, pur seguitando sempre a parlarle dell'amore di Pomino; innamorato come un matto di quegli occhi belli, di quel nasino, di quella bocca, di tutto, finanche d'un piccolo porro ch'ella aveva sulla nuca, ma finanche d'una cicatrice quasi invisibile in una mano, che le baciavo e le baciavo e le baciavo... per conto di Pomino, perdutamente. Eppure, forse, non sarebbe accaduto nulla di grave, se una mattina Romilda (eravamo alla Stìa e avevamo lasciato la madre ad ammirare il molino), tutt'a un tratto, smettendo lo scherzo troppo ormai prolungato sul suo timido amante lontano, non avesse avuto un'improvvisa convulsione di pianto e non m'avesse buttato le braccia al collo, scongiurandomi tutta tremante che avessi pietà di lei; me la togliessi comunque, purché via lontano, lontano dalla sua casa, lontano da quella sua madraccia, da tutti subito, subito, subito... Lontano? Come potevo così subito condurla via lontano? Dopo, sì, per parecchi giorni, ancora ebbro di lei, cercai il modo, risoluto a tutto, onestamente. E già cominciavo a predisporre mia madre alla notizia del mio prossimo matrimonio, ormai inevitabile, per debito di coscienza, quando, senza saper perché, mi vidi arrivare una lettera secca secca di Romilda, che mi diceva di non occuparmi più di lei in alcun modo e di non recarmi mai più in casa sua, considerando come finita per sempre la nostra relazione. Ah sì? E come? Che era avvenuto? Lo stesso giorno Oliva corse piangendo in casa nostra ad annunziare alla mamma ch'ella era la donna più infelice di questo mondo, che la pace della sua casa era per sempre distrutta. Il suo uomo era riuscito a far la prova che non mancava per lui aver figliuoli; era venuto ad annunziarglielo, trionfante. Ero presente a questa scena. Come abbia fatto a frenarmi lì per lì, non so. Mi trattenne il rispetto per la mamma. Soffocato dall'ira, dalla nausea, scappai a chiudermi in camera, e solo, con le mani tra i capelli, cominciai a domandarmi come mai Romilda, dopo quanto era avvenuto fra noi, si fosse potuta prestare a tanta ignominia! Ah, degna figlia della madre! Non il vecchio soltanto avevano entrambe vilissimamente ingannato, ma anche me, anche me! E, come la madre, anche lei dunque si era servita di me, vituperosamente, per il suo fine infame, per la sua ladra voglia! E quella povera Oliva, intanto! Rovinata, rovinata... Prima di sera uscii, ancor tutto fremente, diretto alla casa d'Oliva. Avevo con me, in tasca, la lettera di Romilda. Oliva, in lagrime, raccoglieva le sue robe: voleva tornare dal suo babbo, a cui finora, per prudenza, non aveva fatto neppure un cenno di quanto le era toccato a soffrire. - Ma, ormai, che sto più a farci? - mi disse. - E' finita! Se si fosse almeno messo con qualche altra, forse... - Ah tu sai dunque, - le domandai, - con chi s'è messo ? Chinò più volte il capo, tra i singhiozzi, e si nascose la faccia tra le mani. - Una ragazza! - esclamò poi, levando le braccia. E la madre! la madre! la madre! D'accordo, capisci? La propria madre! - Lo dici a me? - feci io. - Tieni: leggi. E le porsi la lettera. Oliva la guardò, come stordita; la prese e mi domandò: - Che vuol dire? Sapeva leggere appena. Con lo sguardo mi chiese se fosse proprio necessario ch'ella facesse quello sforzo, in quel momento. - Leggi, - insistetti io. E allora ella si asciugò gli occhi, spiegò il foglio e si mise a interpretar la scrittura, pian piano, sillabando. Dopo le prime parole, corse con gli occhi alla firma, e mi guardò, sgranando gli occhi: - Tu? - Da' qua, - le dissi, - te la leggo io, per intero. Ma ella si strinse la carta contro il seno: - No! - gridò. - Non te la do più! Questa ora mi serve! - E a che potrebbe servirti? - le domandai, sorridendo amaramente. - Vorresti mostrargliela? Ma in tutta codesta lettera non c'è una parola per cui tuo marito potrebbe non credere più a ciò che egli invece è felicissimo di credere. Te l'hanno accalappiato bene, va' là! - Ah, è vero! è vero! - gemette Oliva. - Mi è venuto con le mani in faccia, gridandomi che mi fossi guardata bene dal metter in dubbio l'onorabilità di sua nipote! - E dunque? - dissi io, ridendo acre. - Vedi? Tu non puoi più ottener nulla negando. Te ne devi guardar bene! Devi anzi dirgli di sì, che è vero, verissimo ch'egli può aver figliuoli... comprendi? Ora perché mai, circa un mese dopo, Malagna picchiò, furibondo, la moglie, e, con la schiuma ancora alla bocca, si precipitò in casa mia, gridando che esigeva subito una riparazione perché io gli avevo disonorata, rovinata una nipote, una povera orfana? Soggiunse che, per non fare uno scandalo, egli avrebbe voluto tacere. Per pietà di quella poveretta, non avendo egli figliuoli, aveva anzi risoluto di tenersi quella creatura, quando sarebbe nata, come sua. Ma ora che Dio finalmente gli aveva voluto dare la consolazione d'aver un figliuolo legittimo, lui, dalla propria moglie, non poteva, non poteva più, in coscienza, fare anche da padre a quell'altro che sarebbe nato da sua nipote. - Mattia provveda! Mattia ripari! - concluse, congestionato dal furore. - E subito! Mi si obbedisca subito! E non mi si costringa a dire di più, o a fare qualche sproposito! Ragioniamo un po', arrivati a questo punto. Io n'ho viste di tutti i colori. Passare anche per imbecille o per... peggio, non sarebbe, in fondo, per me, un gran guajo. Già - ripeto - son come fuori della vita, e non m'importa più di nulla. Se dunque, arrivato a questo punto, voglio ragionare, è soltanto per la logica. Mi sembra evidente che Romilda non ha dovuto far nulla di male, almeno per indurre in inganno lo zio. Altrimenti, perché Malagna avrebbe subito a suon di busse rinfacciato alla moglie il tradimento e incolpato me presso mia madre d'aver recato oltraggio alla nipote? Romilda infatti sostiene che, poco dopo quella nostra gita alla Stìa, sua madre, avendo ricevuto da lei la confessione dell'amore che ormai la legava a me indissolubilmente, montata su tutte le furie, le aveva gridato in faccia che mai e poi mai avrebbe acconsentito a farle sposare uno scioperato, già quasi all'orlo del precipizio. Ora, poiché da sé, ella, aveva recato a se stessa il peggior male che a una fanciulla possa capitare, non restava più a lei, madre previdente, che di trarre da questo male il miglior partito. Quale fosse, era facile intendere. Venuto, al- l'ora solita, il Malagna, ella andò via, con una scusa, e la lasciò sola con lo zio. E allora, lei, Romilda, piangendo - dice - a calde lagrime, si gittò ai piedi di lui, gli fece intendere la sua sciagura e ciò che la madre avrebbe preteso da lei; lo pregò d'interporsi, d'indurre la madre a più onesti consigli, poiché ella era già d'un altro, a cui voleva serbarsi fedele. Malagna s'intenerì - ma fino a un certo segno. Le disse che ella era ancor minorenne, e perciò sotto la potestà della madre, la quale, volendo, avrebbe potuto anche agire contro di me, giudiziariamente; che anche lui, in coscienza, non avrebbe saputo approvare un matrimonio con un discolo della mia forza, sciupone e senza cervello, e che non avrebbe potuto perciò consigliarlo alla madre; le disse che al giusto e naturale sdegno materno bisognava che lei sacrificasse pure qualche cosa, che sarebbe poi stata, del resto, la sua fortuna; e concluse che egli non avrebbe potuto infine far altro che provvedere - a patto però che si fosse serbato con tutti il massimo segreto - provvedere al nascituro, fargli da padre, ecco, giacché egli non aveva figliuoli e ne desiderava tanto e da tanto tempo uno. Si può essere - domando io - più onesti di così? Ecco qua: tutto quello che aveva rubato al padre egli lo avrebbe rimesso al figliuolo nascituro. Che colpa ha lui, se io, - poi, - ingrato e sconoscente, andai a guastargli le uova nel paniere? Due, no! eh, due, no, perbacco! Gli parvero troppi, forse perché avendo già Roberto, com'ho detto, contratto un matrimonio vantaggioso, stimò che non lo avesse danneggiato tanto, da dover rendere anche per lui. In conclusione, si vede che - capitato in mezzo a così brava gente - tutto il male lo avevo fatto io. E dovevo dunque scontarlo. Mi ricusai dapprima, sdegnosamente. Poi, per le preghiere di mia madre, che già vedeva la rovina della nostra casa e sperava ch'io potessi in qualche modo salvarmi, sposando la nipote di quel suo nemico, cedetti e sposai. Mi pendeva, tremenda, sul capo l'ira di Marianna Dondi, vedova Pescatore.

IV. JUST AS IT WAS
I was out hunting one day, when I came upon a scarecrow in an open field. A short pudgy figure it was, stuffed with straw, and with an iron pot inverted on the upright for a hat. I stopped, as a whimsical notion suddenly flitted through my head.
“I have met you before,” said I. “An old acquaintance!” After a moment I burst out:
“Try the feel of this, Batty Malagna!”
A rusty pitchfork was lying on the ground nearby. I picked it up and ran it into the belly of the “man”;
with so much zest, moreover, that the pot was almost shaken from its perch! Yes, Batty Malagna himself; the way he looked when sweating and puffing in a long coat and a stiff hat he went walking of an afternoon! Everything was loose, baggy, slouching about Batty Malagna. His eyebrows seemed to ooze down his big fat face, just as his nose seemed to sag over an insipid mustache and goatee. His
shoulders were a sort of drip from his neck, his abdomen a sort of downflow from his chest. This belly of his was balanced—precariously—on a pair of short stubby legs; and to make trousers that would fit these along with the paunch above, the tailor had to devise something extremely slack at the waist. From a distance Batty looked as though he were wearing skirts, or at least as though he were belly all the way down. How Batty Malagna, with a face and a body like that, could be so much of a thief, I cannot imagine. I
always supposed thieves had a distinctive something about their appearance or demeanor, which Batty seemed to lack. He walked with a waddle, his belly all a−shake, and his hands folded behind his back. When he talked, his voice was a kind of muffled bleat blubbering up with difficulty from the fat around his lungs. I should like really to know how he reconciled his conscience with the depredations he made upon our property! He must have had very deep and devious reasons, for it was not from lack of money that he stole. Perhaps he just had to be doing something out of the ordinary to make life interesting, poor devil. Of one thing I am convinced: he must have suffered grievously, inside, from the lifelong affliction of a wife whose principal occupation was keeping him in his place. Batty made the mistake of choosing a woman from a social station just above his own (this was a very low one indeed.) Signora Guendolina, married to a man of her own sphere, would probably have made a passable helpmeet; but her sole service to Batty was to remind him on every possible pretext and occasion that she was of a good family and that in her circles people did so and so. So and so, accordingly, Batty tried his best to do. No bumpkin ever set out to become a “gentleman” with more studious application. But what a job it was! How it made him sweat—in summer weather!
To make matters worse, my lady Guendolina, shortly after her marriage to Malagna, developed a stomach
trouble which was destined to prove incurable; since entirely to master it required a sacrifice greater than her strength of will: abstinence, namely, from certain croquettes she knew how to make with truffles; from a number of peculiarly ingenious desserts; and, above all else, from wines. Not that she ever abused the latter! I should say not! Guendolina was a lady, and self control is a test of breeding! But a cure of the ailment in question demanded total avoidance of strong drink. As youngsters, Berto and I were sometimes asked to stay to dinner at Malagna's house. Batty would sit down at table and pitch in, meanwhile lecturing his wife (with due regard for reprisals, of course) on the virtues of abstemiousness.
“I for my part,” he would say (balancing a mouthful on his knife), “fail to see how the pleasure of tickling
your palate with something you like to eat” (transferring the morsel to his mouth) “is worth buying at the price of a day in bed. There's no sense in it! I am sure that if I” (wiping his plate with a piece of bread) “gave way to my appetite like that, I should feel myself less of a man. Damn good, this sauce today, Guendolina. Think I'll try just a little more of it—just a spoonful, mind!” “No, you shall not have another bit,” his wife would snap back angrily. “The idea! I wish the Lord would give you one good cramp like those I have! That might teach you to have some regard for the woman you married!” “Why, what in the world, Guendolina...? Some regard for you?” (meanwhile pouring himself a glass of
wine). Guendolina would answer by rising from her place, snatching the glass from his hands and emptying it... out of the window.
“Why... what's the matter? Why did you do that?”
“Because!” says Guendolina. “You know very well that wine is poison to me, poison! If you ever see me
with a glass of wine—well—you just do what I did. You take it and throw it out of the window too!”
Sheepish, mortified, but making the best of it, Malagna would look first at me, then at Berto, then at the
glass, then at the window. “But, dearest, dearest, are you a child? You expect me to force you to be good? Oh, I say! You ought to be strongminded enough to control your little weaknesses.”
“While you sit there enjoying yourself! While you sit there smacking your lips, holding your glass up to
the light, clinking it with your spoon—just to torment me? Well, I won't stand it! That's what I get for
marrying a man of your antecedents!...” Well, Malagna went so far as to give up wine, to please his wife and set her a good example! I leave it to
you: a man who would do that is likely to steal, just to convince himself that he amounts to something.
However, it was not long before Batty discovered that his wife was drinking behind his back; as though
wine consumed in that way would not do her any harm. Whereupon Batty took to wine again himself; but at the tavern, so as not to humiliate his Guendolina by showing that he had caught her cheating. And a man who would do that...!
Eventual compensation for this perennial affliction Batty Malagna hoped to find in the advent of a male
heir to his family. That would be an excuse, in his own eyes and in the eyes of anybody, for all his thievery
from us. What may a man not do to provide a future for his children? But his wife, instead of getting better
and better, got worse and worse. Perhaps he never mentioned this burning subject to her. There were so many reasons why he should not add that worry to her troubles. Ailing, almost an invalid in the first place! Then she might die if she tried to have a child! No: God forbid! Batty would be resigned! Each of us has a cross to bear in this world! Was Malagna quite sincere in this considerateness? If so, his conduct did not show it when Guendolina died. To be sure, he mourned her loss! Oh yes, he wept till it seemed his heart would break! And he was so thoughtful of her memory that he refused to put another “lady" in the place which she had occupied. No, no, I
should say not! And he might have, you know, he might have—man in his position in town, and with plenty of money by this time! No, he married—a peasant girl, the daughter of the farmer who worked one of our estates—strong healthy thing, good−natured, good housekeeper—so that everyone could see that what he wanted was children, and the right woman to bring them up. If he waited hardly till Guendolina was cold in her grave, that was reasonable, too. Batty was getting on in years, and had no time to waste. I had known Oliva Salvoni well since I was a little boy and she a little girl. Daughter of Pietro Salvoni (the land he worked was the farm of ours which we called “The Coops"), she had been responsible for the many hopes I had aroused in poor mother in my time—hopes that I was about to settle down and take an interest in our property, even turn to farming which I had suddenly begun to like so well. Dear innocent mamma! It was, of course, my terrible Aunt Scolastica who shortly disabused her:
“But don't you see, stupid, that he's always hanging around Salvoni's?” “Yes, why not? He's helping get the olives in!” “Helping take an Olive in! One Olive, do you hear, cabbage−head!” Mother gave me a scolding that she thought would last me a long long time: the mortal sin of leading a poor girl into temptation, of ruining an innocent creature I could never marry... that kind of talk, you understand. ... I listened respectfully. Really there was not the slightest danger in the world. Oliva was quite able to take
care of herself: and one of her charms lay precisely in the ease and independence born of this assurance,
which enabled her to avoid insipid reticences and affected modesty. How she could laugh! Such lips as hers I have never seen before nor since. And what teeth! From the lips I got not the suggestion of a kiss; from the teeth—a bite once, when I had seized her by the wrists and refused to let her go short of a caress upon her hair! That was the sum total of our intimacy.
So this was the beauty (and such a youthful, fresh and thoroughly charming beauty!) that Malagna took to wife. Oh yes, I know... but a girl can't turn her back on certain opportunities! She knew very well where that rascal got his money. One day, indeed, she told me exactly what she thought of him for doing it. Then later on, because of that very money, she married him.... However, one year, two years, went by—and Malag−na's heir was still wanting.
During the period of his first marriage Malagna had put all the blame on Guendolina and her stomach
trouble; but not even now did he remotely suspect that the fault might be his own. He began to scowl and sulk at Oliva. “Nothing?” “Nothing!”
From the end of the third year his reproaches became quite undisguised. Soon he was actually abusing
her, shouting and making scenes about the house, and claiming that she had made a show of her good health and good looks, to swindle him—a plain downright swindle, yes sir! What had he married her for! A woman of her class! Putting her in the place a lady—a real lady, sir—had held!—And if it hadn't been for that one thing, do you suppose he would ever have thought of doing such a slight to the memory of the distinguished “lady” who had been his first wife?
Poor Oliva said nothing, not knowing what there was to say, in fact. She just came to our house to tell my
mother all about it; and mother would comfort her as best she could, assuring her there was still some hope,
since Oliva was a mere slip of a girl.... “Twenty, about?” “Twenty−two!” Oh, why so downhearted then? Children came sometimes, ten, fifteen, twenty years after a woman's marriage! And her husband? Malagna was getting on in years, that was true; but....
Oliva, from the very first, had had her doubts, wondering whether... well, how should she put it?...
whether... it might not be his fault... there! But how prove a thing like that? Oliva was a woman of scruples. On marrying Malagna for his money and for nothing else she had determined to play absolutely fair with him... and she would not deceive him even for the sake of restoring peace to her household....
“How do you know all that?” asks Don Eligio.
“Huh! How do I know! I have just said that she came to our house to discuss the matter with my mother.
Before that I said I had known her all her life. Then, now, I could see her with my own eyes crying her heart out, all on account of that disgusting old thief! Finally. ... Shall I say it right out, Don Eligio!” “Say it just as it was!” “Well, she said no! That's putting it just as it was!” Oh, I didn't mind being turned down so sharply. In those days I had, or thought I had—which amounts to the same thing—a great deal to occupy my mind and afford distractions. Money, in the first place; and money gives you, along with all the rest, certain ideas you would never have in the world except for money. The problem of spending I partly solved with the help of Gerolamo Pomino Second, who was a genius in that line and whom wise paternal restrictions always kept with pockets insufficiently lined. “Mino” stuck to Berto and me like our shadows—now my shadow and now Berto's, that is. It was wonderful how Mino could change makeup according as it were I or Berto. When he hobnobbed with my brother, he became a regular dandy, and his father would loosen up a little on the purse−strings (for Gerolamo the elder had a weakness for “gentlemen"). But Berto did not find Mino so very congenial on the whole. As soon as he began to notice that Mino, his young worshipper, was imitating not only his clothes and his neckties but even the gait with which he walked, he would lose patience and finally say something that would drive the fellow away. Mino then would take up with me (and his father would duly draw the purse−strings tight again).
I was more tractable with people than brother Berto. I could swallow Mino's adulation for the fun I got out
of him. Then, after a time, I would be sorry; for, in my eagerness to a show off in front of him, I would almost always go a bit too far in getting Mino into scrapes of which I would be bound to share the consequences. Well, one day, while Mino and I were out hunting, I began to gossip about how Malagna was carrying on with his wife. In the course of our conversation it developed that Mino had long had his eye on a girl, whox happened to be the daughter of one of Malagna's cousins! The miss herself seemed not to be disinclined toward him; but for all of that he had never yet been able to exchange two words with her.
“I bet you never had the pluck to try,” I offered jestingly. Mino averred he had; but I thought he blushed too much in saying so. “I did have a talk with their maid,” he added. “And what I learned from her would make you laugh! Why, according to the maid, old Malagna is down there all the time, these days, and he seems to be trying to cook up something, with the connivance of the mother. She is an own cousin of his, and a pretty poor sort, I take it....”
“What is he trying to pull off?” “Why, it seems that when Malagna's first wife died, this old witch—she's a widow named Pescatore!—got the idea of saddling her daughter off on him. Batty married Oliva of course. Well, the Pescatore woman called
him everything she could put her tongue to—fool, thief, traitor to his own blood, and so on; and she even gave her daughter a thrashing because the girl had not exerted herself enough to catch the old fool's eye. Now recently Batty has been going down there crying calamity because he has had no son to leave his money to. 'Serves you right!' says the old lady—for not having taken her daughter of course. Who knows what scheme she may now be working up?” To tell the truth, I was sincere in the horror with which I put my hands to my ears and bade Mino say no more. In those days I liked to pose as a rounder of experience: but at bottom I was as innocent as a child. Nevertheless, from my knowledge of the quarrels that had raged and were still raging between the Malagnas, man and wife, I thought there might be some fire behind the smoke that maid was raising. I made up my mind to try and discover the exact truth—to help Oliva out a little, if for nothing else. I asked Mino for the address of this cousin of Malagna. He gave it to me willingly, begging me, besides, to put in a good word for him if I ever met the girl. He also asked me to remember that she was his. “Don't worry!” I replied to this latter caution. “I won't cut you out!” It so happened that the very next morning, as mother told me, a note we had given was falling due, and I used that occasion for rooting Malagna out in the Pescatore cottage. “With a purpose in view, I covered the whole distance on the run, and broke, panting and perspiring, into the house: “Malagna, the note... the note...!” If I had not known already that this rascal's conscience was not so very clean I would have suspected as much that day from the utter consternation in which he rose, pale, stammering, aghast, to his feet: “Wh−wh−what n−note!” “Why, the money we owe to So−and−So.... Mother is worried to death!...”
Batty Malagna sank into his chair again with an “ah” of relief that gave the measure of the terror that had
seized on him: “All arranged! All arranged! My, how you scared me!... I renewed it, of course... for three months ... paying the interest—a lot of money.... You mean to say you ran all the way down here just for that?...” He was good−humored now, and he laughed and laughed, his great belly shaking up and down. He offered me a chair and introduced me to the ladies: “Mattia Pascal. My cousin, Marianna Dondi−Pescatore. Romilda, her daughter,—I call her my 'niece.'“ Then he insisted that I take a drink of something to cool off after my long and ridiculous run.... “Romilda, would you mind... just a little something?” “Evidently feels himself at home!” I commented to myself. Romilda rose, looked with a quick glance of inquiry at her mother, left the room, and presently returned with a glass and a bottle of vermouth on a tray. Whereupon the widow snapped impatiently: “No, no! Not that! Here, I'd better do it myself!” She took the tray away from Romilda and hurried into the pantry. When she came back, it was a different tray, a brand new red enameled one, with a magnificent cordial set—a silver−plated elephant, with a bottle of rosolio on the crupper, and a dozen little glasses hanging loosely in a rack and tinkling as she walked. I should have preferred the vermouth; but I accepted the rosolio. Malagna and the widow took some too. Romilda declined. I did not stay long, that first time, in order to have a pretext for coming back again. I excused myself by saying that mother would be uneasy about the note; so I had better return another day to enjoy a longer chat
with the two ladies. From her manner of offering me her cold, bony, withered hand, I judged that Signora Marianna Dondi−Pescatore was not particular about having me call again. She bowed very stiffly and said nothing. But I was more than repaid by the smile of cordial interest Romilda gave me, with a glance, soft and at the same time sorrowful, which drew my attention to her eyes again. I had noticed them when I first came in: quite unusual eyes, a strange dark green shaded by wonderfully long lashes—eyes of night, set like jewels between two waves of ebony black hair that made their way down over her temples and forehead as though to set off the luminous whiteness of her skin. The house was quite plainly furnished; but already among the original pieces a few new−comers were conspicuous from their pretentious and over−ornamented elegance. Two large lamps of expensive earthenware—still unused apparently—with globes of ground glass in fantastic design, sat on a very ramshackle dresser which had a discolored marble top and a round mirror rising from the back. In front of a sofa that had seen better days long since was a tea table, with gilded legs and a top painted in lurid colors. A cabinet against the wall was a valuable antique in Japanese lacquer. I noticed a glitter of satisfaction in Malagna's eyes as they rested on these gaudy objects, a look I had observed also when the cordial set came into the room. On the walls was a profusion of old and not intolerable prints, some of which Malagna insisted that I admire. They were the work, he said, of Francesco Antonio Pescatore, his cousin, an engraver of great talent who died (as he added, in a whisper) in a lunatic asylum at Turin.
“Here is a picture of him,” Batty continued. “He drew it himself in front of a mirror!” I had been studying Romilda all the while, and on comparing her with her mother, I had concluded: “No, she must take after her father instead.” With the picture of the man before me now, I did not know what to say. It is not fair, I suppose, to venture libelous guesses as to the integrity of Marianna Dondi; though I know
she was a woman capable of anything. But that picture showed her husband as a very handsome man. How could he ever have fallen in love with such an ugly harpy as she was? To do a thing like that he must have been a very loony lunatic indeed!
My impressions of that first visit I faithfully reported to Mino, speaking of Romilda with such warmth of
admiration that his distant interest in the girl flared up at once into a passion. He was delighted that I had
found her so charming and that his choice had my wholehearted approbation. “So what are your intentions?” I asked. The widow, I agreed with him, was not a person to inspire confidence; but I was ready to stake my oath on the virtue of the daughter. There could be no doubt, either, as
to the miserable designs of Malagna. The girl should be rescued therefore at any cost and without loss of time. “But how?” asked Gerolamino, hanging breathless upon my every word. “That's the question!” said I. “First of all we must be sure about a number of things, keep our eyes open, study the terrain. I can't say how right off, in so many words, but we'll see. Give me a free hand, meantime;
and I'll pull you through. I'm getting interested in this affair! It's exciting!” Pomino noticed a certain undertone in my voice that worried him.
“Well, but... why... you say I ought to marry her?”
“I'm not saying anything, just yet. But would you be afraid to?” “No, I'm not afraid... why do you ask?”
“Why, you seem to be going a bit too fast. Slow up a little now, and use your head. Supposing we discover
beyond reasonable doubt that she is quite all she ought to be—a good girl, virtuous, well−mannered, pure (no need to mention her looks: she's a queen—and you love her, don't you?);—well, supposing also we find that, through the viciousness of her mother and that other scoundrel, she is exposed to a very grave danger—to a vulgar criminal bargain that will leave her disgraced forever: would you shrink from facing the situation like a
man? Would you refuse to do an act as meritorious as it is holy?” “No−o−o! No−o!” stammered Pomino. “I wouldn't! But how about father?” “Think he would object? I doubt it! Why should he? On account of the dowry, perhaps? Surely on no other ground! She's the daughter of an artist, you see, an engraver of great talent, who died in a... well, anyhow... who died in Turin. But your father is rich, and he has only you to provide for: you will be satisfied, so why should he care? And then besides, in case you can't bring him around by persuasion, there's nothing to be afraid of.... You disappear with the girl some day; and everything is arranged! Land's sake, Pomino, you
wouldn't let a little thing like a father stop you?”
Pomino laughed; and I proceeded to show him, two times two are four, that he had been born a husband
much as some men are born poets. I painted the joys and consolations of married life with a jolly little girl like
Romilda—the tenderness and adoration she would have for a brave man like Mino... her saviour. “For the moment,” I concluded, “you must find a way to attract her attention, get a word to her somehow,
perhaps drop her a line. Imagine the state of mind the poor thing must be in now... a fly caught in a spider's
web. A letter from you might be the chip that would save her from drowning. My job will be to stand watch. I'll hang around the house and see what I can do. At the first good chance, I'll introduce you. That's good sense, isn't it?” “Very good!” said Pomino.
Now just why was I so anxious to get Romilda married? There was no reason whatever that I should be. As I said, I always liked to show off before Pomino. Once I started talking, I kept on, all the difficulties
vanishing. I was inclined, in general, to do things impulsively and thoughtlessly. Perhaps that was one of the things for which the girls liked me in spite of my cock−eye and my rather ungainly physique. But in this ease there was something else besides. My little intrigue gathered zest for me from the prospect of checkmating that ridiculous old satyr in one of his infamous designs—of beating him at his own game and making a fool of him. Finally came a sincere pity for Oliva; and the hope of doing just a little something for that other girl who had really made a deep impression on me. Now I must appeal to you again. Was it my fault if Pomino proved to be a rabbit when it came to executing schemes of mine that required courage and decision? Was it my fault if Romilda fell in love with me instead of falling in love with him (I always praised him to the very skies!)? Was it my fault, finally, if that devilish widow Pescatore was shrewd enough to make me believe that I had skillfully exorcized the diffidence in her, and even, by my jokes, performed the miracle of bringing a laugh to hard thin lips which had never before been known to smile? I saw her gradually change toward me. I saw that my visits were at last welcome. I concluded that with a young man frequenting her house, a young man who was rich (I still thought I was rich, you see) and who gave every indication of being in love with her daughter, she had finally abandoned her iniquitous idea—if such an idea had ever entered her head (I was so far taken in that I actually
began to doubt this latter). Of course, I should have paid more attention to two facts—surprising when you think of them: first, that I never again found Malagna at her house: and second that she would receive me only during the forenoon. But how could I tell at just that time that those particular facts were significant? Natural enough, wasn't it, to ask me to come early in the day (I was always proposing walks in the woods and fields, which are more agreeable when the sun is not too high)? Then again I had fallen in love with Romilda myself—though I was always pleading: the cause of. Pomino. I loved her with a wild impetuous passion—her dark green eyes under
the long lashes, her nose, her lips, her cheeks, her everything—even a mole she had on the back of her neck and an almost invisible scar on one of her hands—hands that I kissed and kissed and kissed with the abandonment of a lost soul—all in the name of Pomino, to be sure. And yet, probably nothing serious would ever have come of it, had not Romilda, one day (we were picnicing at “The Coops” and her mother was inspecting the old mill−wheel a safe distance away), suddenly lost the laughter with which she greeted my standing jokes about Pomino, burst into tears, and thrown her arms about my neck, begging me in the utmost distress to have pity on her. “Oh take me away with you somewhere, Mattia,” she cried, “take me away... away way off where I shall
never see mother, or the house, or Malagna, or anybody else again! Take me away, today, this afternoon!” Take her away? How could I take her away? And why? It is true that for some days thereafter, still under the spell of her mad abandonment, I was thinking, with my usual determination also, of doing the right thing by her. I began preparing mother gradually for the news
of my approaching marriage—a marriage I could no longer in any decency avoid. When, lo and behold, like a thunderbolt from a clear sky, I get a short and polite note from Romilda, requesting me to cease my attentions to her, to refrain from any further visits at her house, and to regard our friendship as ended for good and all. “So that's that! What can have happened, I wonder?” When, lo and behold again, who should come running over to our house but Oliva, sobbing and taking on, as though the world were coming to an end. The most unhappy woman the Lord ever made! House and home destroyed beyond repair! Nothing more for her to live for.... Her “man" had secured the proof at last—proof that it was not his fault but hers! He had just come in and made the announcement triumphantly! I was present while Oliva told her story. How I held my tongue I do not know—regard for mother's feelings, more than anything else, perhaps. But I do know that I left the room with my hands to my head, shut myself up in my study, and, sick at heart, began to ask myself how Romilda, after what had occurred between
her and me, could lend herself to such a despicable ruse. A true daughter of her mother, that she was! Look! Not only had they tricked that old idiot Malagna—a trick too mean to play even on a thief; but they had made a fool of me, of me, of me! And not only the mother! Romilda, too, had used me for her own vile ends... to get money from another man who was robbing me! And poor Oliva, meantime... publicly disgraced, her happiness and reputation gone forever! I raged in my room there the greater part of the day; but toward evening I could stand it no longer. I went out and, with Romilda 'a letter in my pocket, made for Oliva's house. I found the poor girl packing her things and about to go back to her father's. She had never as yet breathed a word to old Salvoni of all she had had to put up with from Malagna. “How can I think of living with him any longer,” she moaned. “No, it's all over! If only he had taken up with a different girl... then perhaps....”
“So you know who it is then?” I interrupted.
In answer she covered her face with her hands and sobbed and sobbed and sobbed: “What a girl!” she finally exclaimed raising her arms above her head. “What a girl! And her mother! Her own mother! Together, understand?” “You are not telling me anything I don't know,” I now burst out. “Here! Just have a look at this!” I handed her the letter. Oliva stared at it blankly for a moment; then she took it from me and asked: “A letter? What about?”
Oliva had never been to school, and she read with difficulty. Her eyes seemed to beg me to spare her the effort of deciphering all those words at that moment of her supreme anguish. “Read!” I insisted.
She wiped her eyes, unfolded the letter, and spelled the words out one by one, whispering them to me
syllable by syllable. After a line or two, she turned the page and looked at the signature. Then she looked at
me, her eyes bulging from their sockets: “You?” she gasped. “Here,” I answered, “let me read it aloud to you! I'll begin at the beginning.” But she clasped the letter to her breast, to keep it from me: “No,” she screamed, “this is mine, mine! I can use this letter!”
I smiled bitterly: “How can you use it? You might show it to him? But, my poor girl, there isn't a word in the whole letter that would lead your husband to disbelieve something that he is only too anxious to believe? They've made him swallow it, bait, hook, and line!” “Ah yes, that's so! That's so!” Oliva groaned. “And do you know what he did? He came and told me never to dare, for the life of me, to breathe one word against the good name of that niece of his!”
“Why, exactly! So you see!” I answered. “You would gain nothing by telling him the truth. That is the
very last thing you should try to do. Your game rather is to reassure him, keep Mm thinking it is as he thinks it is.... Don't you agree?” What in the world could have happened (a month later, more or less) that Malagna should one day give his wife a terrible beating, and then, his mouth still frothing, come storming into our front room demanding that I “make good” for the dishonor I had brought upon an innocent girl—his niece? His niece, if you please, the niece of my father's best friend, and a poor orphan, a poor orphan with no one to protect her. When he cooled off enough to talk a little more intelligibly he added that, for his part, he would have preferred to keep the matter quiet—he had no children of his own, you see; and he had made up his mind to take the baby, when it came, and bring it up as his own. But now, since the good Lord had been so merciful as to give him a legitimate child by 'his own wife, he couldn't—he really couldn't in justice to his future heir—adopt another's offspring to take the rightful place of his firstborn. “It's Mattia's work!” he began storming again, “Mattia must provide! And he must see to it at once—at once, do you hear! I am not going to waste any words. I'm going to be obeyed, or something will happen here that this town won't forget in a hurry!” Now supposing we stop to consider a moment, at this point in my story. I've been through a good deal in the course of my checkered career. To have my reader think me a fool, or even worse than that, would not hurt my feelings so very much. As I said, I am a person quite beyond this life, and nothing matters to me now. I suggest that we stop and think a moment, not out of vanity, therefore, but just to keep things straight.
It must be fairly evident that Romilda could have done nothing really wrong so far as tricking her “uncle” is concerned. Otherwise, why should Malagna have beaten his wife for her infidelity, and denounced me to my mother for ruining his niece? Romilda claims, in fact, that shortly after our visit to “The Coops,” she made known to her mother the situation that bound her to me inseparably. But the old lady flew into a passion and averred that, under no conditions whatsoever would she allow her daughter, Romilda, to marry a good−for−nothing who would soon be losing the last cent to his name and be a beggar sleeping in the gutter. Now, since Romilda, quite of her own accord, had brought upon herself the greatest misfortune that can happen to a girl, there was nothing left for Signora Pescatore—as a prudent mother—to do, except to find the
best possible solution to such a difficulty. What this solution was I need not say. When Malagna came at his usual hour, the mother found an excuse to withdraw, leaving Romilda alone with her uncle. Then Romilda, weeping “hot tears” as she says, threw herself at his feet, told him the plight she was in and hinted at what her mother was asking her to do. She begged him to use his in−fluence to bring her mother to a more reasonable and honorable frame of mind; since she belonged already to another man to whom she was determined to remain faithful. Malagna was touched by her story—touched the way a man like him could be touched. He reminded her that she was not yet of age and accordingly was still under her mother's control—the mother having the power
to take legal action against me if she felt so inclined. He, for his part, so he said, could not, in all conscience
recommend a man like me to any girl for a husband—libertine, waster, loafer that I was. She, Romilda, therefore should hold herself ready to make some sacrifice of her emotions to her mother's very just displeasure; and such conduct might in the end be to her very great advantage. He, for instance, might find a way—well yes—if everything were kept absolutely quiet—to provide for the child that was to come, become its father—−exactly, yes, its father—since he had no children of his own—and for years and years he had so longed to have an heir!...
Tell me now in all seriousness: could anybody be more square, more honest, more upright than that?
Here's the point: all he had stolen from the real father (from me, that is) he would pass back by settling it on
the future child: Was he to blame if I, ungrateful scamp, thereafter went and broke the eggs in his other basket? One, ail right! But two? No sir! Two was too much! Too much, I suppose, because, as Malagna probably figured it out, my brother Roberto had contracted a very advantageous marriage, and there was no need to bother about the money that had been stolen from him.... So you see: having once fallen into the hands of these square, upright, and honest people, I was responsible for all the wrong that had been done. What more natural, therefore, than that I should take the consequences?
At first I stood my ground, refusing angrily. But my mother already could foresee the ruin that was shortly to overtake us. She saw in my marriage to Romilda—a relative of the man who had our money—a possible avenue of escape for me. So I gave in. The wedding took place. But over my future with my young—and beautiful—wife, lowered the menacing, wrathful, vindictive shadow of Signora Marianna Dondi−Pescatore, unwillingly the mother−in−law of a beggar like me!






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