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VII: Cambio treno
Pensavo:
« Riscatterò la Stìa, e mi ritirerò là, in campagna, a fare il mugnajo. Si sta meglio vicini alla
terra; e - sotto - fors'anche meglio.
« Ogni mestiere, in fondo, ha qualche sua consolazione. Ne ha finanche quello del becchino.
Il mugnajo può consolarsi col frastuono delle macine e con lo spolvero che vola per
aria e lo veste di farina.
« Son sicuro che, per ora, non si rompe nemmeno un sacco, là, nel molino. Ma appena lo
riavrò io:
« - Signor Mattia, la nottola del palo! Signor Mattia, s'è rotta la bronzina! Signor Mattia, i
denti del lubecchio!
« Come quando c'era la buon'anima della mamma, e Malagna amministrava.
« E mentr'io attenderò al molino, il fattore mi ruberà i frutti della campagna; e se mi porrò
invece a badare a questa, il mugnajo mi ruberà la molenda. E di qua il mugnajo e di là il
fattore faranno l'altalena, e io nel mezzo a godere.
« Sarebbe forse meglio che cavassi dalla veneranda cassapanca di mia suocera uno dei
vecchi abiti di Francesco Antonio Pescatore, che la vedova custodisce con la canfora e col
pepe come sante reliquie, e ne vestissi Marianna Dondi e mandassi lei a fare il mugnajo e
a star sopra al fattore.
« L'aria di campagna farebbe certamente bene a mia moglie. Forse a qualche albero cadranno
le foglie, vedendola; gli uccelletti ammutoliranno; speriamo che non secchi la sorgiva.
E io rimarrò bibliotecario, solo soletto, a Santa Maria Liberale. »
Così pensavo, e il treno intanto correva. Non potevo chiudere gli occhi, ché subito m'appariva
con terribile precisione il cadavere di quel giovinetto, là, nel viale, piccolo e composto
sotto i grandi alberi immobili nella fresca mattina. Dovevo perciò consolarmi così, con un
altro incubo, non tanto sanguinoso, almeno materialmente: quello di mia suocera e di mia
moglie. E godevo nel rappresentarmi la scena dell'arrivo, dopo quei tredici giorni di scomparsa
misteriosa.
Ero certo (mi pareva di vederle!), che avrebbero affettato entrambe, al mio entrare, la più
sdegnosa indifferenza. Appena un'occhiata, come per dire:
« To', qua di nuovo? Non t'eri rotto l'osso del collo? »
Zitte loro, zitto io.
Ma poco dopo, senza dubbio, la vedova Pescatore avrebbe cominciato a sputar bile, rifacendosi
dall'impiego che forse avevo perduto.
M'ero infatti portata via la chiave della biblioteca: alla notizia del mia sparizione, avevano
dovuto certo scassinare la porta, per ordine della questura: e, non trovandomi là entro,
morto, né avendosi d'altra parte tracce o notizie di me, quelli del Municipio avevano forse
aspettato, tre, quattro, cinque giorni, una settimana, il mio ritorno; poi avevano dato a
qualche altro sfaccendato il mio posto.
Dunque, che stavo a far lì, seduto? M'ero buttato di nuovo, da me, in mezzo a una strada?
Ci stéssi! Due povere donne non potevano aver l'obbligo di mantenere un fannullone, un
pezzaccio da galera, che scappava via così, chi sa per quali altre prodezze, ecc., ecc.
Io, zitto.
Man mano, la bile di Marianna Dondi cresceva, per quel mio silenzio dispettoso, cresceva,
ribolliva, scoppiava: - e io, ancora lì, zitto!
A un certo punto, avrei cavato dalla tasca in petto il portafogli e mi sarei messo a contare
sul tavolino i miei biglietti da mille: là, là, là e là...
Spalancamento d'occhi e di bocca di Marianna Dondi e anche di mia moglie.
Poi:
« - Dove li hai rubati?
« - ...settantasette, settantotto, settantanove, ottanta, ottantuno; cinquecento, seicento,
settecento; dieci, venti, venticinque; ottantunmila settecento venticinque lire, e quaranta
centesimi in tasca. »
Quietamente avrei raccolti i biglietti, li avrei rimessi nel portafogli, e mi sarei alzato.
« - Non mi volete più in casa? Ebbene, tante grazie! Me ne vado, e salute a voi. »
Ridevo, così pensando.
I miei compagni di viaggio mi osservavano e sorridevano anch'essi, sotto sotto.
Allora, per assumere un contegno più serio, mi mettevo a pensare a' miei creditori, fra cui
avrei dovuto dividere quei biglietti di banca. Nasconderli, non potevo. E poi, a che m'avrebbero
servito, nascosti?
Godermeli, certo quei cani non me li avrebbero lasciati godere. Per rifarsi lì, col molino della
Stìa e coi frutti del podere, dovendo pagare anche l'amministrazione, che si mangiava
poi tutto a due palmenti (a due palmenti era anche il molino), chi sa quant'anni ancora avrebbero
dovuto aspettare. Ora, forse, con un'offerta in contanti, me li sarei levati d'addosso
a buon patto. E facevo il conto:
« Tanto a quella mosca canina del Recchioni; tanto, a Filippo Brìsigo, e mi piacerebbe che
gli servissero per pagarsi il funerale: non caverebbe più sangue ai poverelli!; tanto a Cichin
Lunaro, il torinese; tanto, alla vedova Lippani... Chi altro c'è ? Ih! hai voglia! Il Della Piana,
Bossi e Margottini... Ecco tutta la mia vincita! »
Avevo vinto per loro a Montecarlo, in fin dei conti! Che rabbia per que' due giorni di perdita
! Sarei stato ricco di nuovo... ricco!
Mettevo ora certi sospironi, che facevano voltare più dei sorrisi di prima i miei compagni di
viaggio. Ma io non trovavo requie. Era imminente la sera: l'aria pareva di cenere; e l'uggia
del viaggio era insopportabile.
Alla prima stazione italiana comprai un giornale con la speranza che mi facesse addormentare.
Lo spiegai, e al lume del lampadino elettrico, mi misi a leggere. Ebbi così la consolazione
di sapere che il castello di Valençay, messo all'incanto per la seconda volta, era
stato aggiudicato al signor conte De Castellane per la somma di due milioni e trecentomila
franchi. La tenuta attorno al castello era di duemila ottocento ettari: la più vasta di Francia.
« Press'a poco, come la Stìa... »
Lessi che l'imperatore di Germania aveva ricevuto a Potsdam, a mezzodì, l'ambasciata
marocchina, e che al ricevimento aveva assistito il segretario di Stato, barone de Richtofen.
La missione, presentata poi all'imperatrice, era stata trattenuta a colazione, e chi sa
come aveva divorato!
Anche lo Zar e la Zarina di Russia avevano ricevuto a Peterhof una speciale missione tibetana,
che aveva presentato alle LL. MM. i doni del Lama.
« I doni del Lama? » domandai a me stesso, chiudendo gli occhi, cogitabondo. « Che saranno?
»
Papaveri: perché mi addormentai. Ma papaveri di scarsa virtù: mi ridestai, infatti, presto, a
un urto del treno che si fermava a un'altra stazione.
Guardai l'orologio: eran le otto e un quarto. Fra un'oretta, dunque, sarei arrivato.
Avevo il giornale ancora in mano e lo voltai per cercare in seconda pagina qualche dono
migliore di quelli del Lama. Gli occhi mi andarono su un suicidio così, in grassetto.
Pensai subito che potesse esser quello di Montecarlo, e m'affrettai a leggere. Ma mi arrestai
sorpreso al primo rigo, stampato di minutissimo carattere: « Ci telegrafano da Miragno
».
« Miragno? Chi si sarà suicidato nel mio paese? »
Lessi: « Jeri, sabato 28, è stato rinvenuto nella gora d'un mulino un cadavere in istato d'avanzata
putrefazione... ».
A un tratto, la vista mi s'annebbiò, sembrandomi di scorgere nel rigo seguente il nome del
mio podere; e, siccome stentavo a leggere, con un occhio solo, quella stampa minuscola,
m'alzai in piedi, per essere più vicino al lume.
« ... putrefazione. Il molino è sito in un podere detto della Stìa, a circa due chilometri dalla
nostra città. Accorsa sopra luogo l'autorità giudiziaria con altra gente, il cadavere fu estratto
dalla gora per le constatazioni di legge e piantonato. Più tardi esso fu riconosciuto per
quello del nostro... »
Il cuore mi balzò in gola e guardai, spiritato, i miei compagni di viaggio che dormivano tutti.
« Accorsa sopra luogo... estratto dalla gora... e piantonato... fu riconosciuto per quello del
nostro bibliotecario... »
« Io? »
« Accorsa sopra luogo... più tardi... per quello del nostro bibliotecario Mattia Pascal,
scomparso da parecchi giorni. Causa del suicidio: dissesti finanziarii. »
« Io?... Scomparso... riconosciuto... Mattia Pascal... »
Rilessi con piglio feroce e col cuore in tumulto non so più quante volte quelle poche righe.
Nel primo impeto, tutte le mie energie vitali insorsero violentemente per protestare: come
se quella notizia, così irritante nella sua impassibile laconicità, potesse anche per me esser
vera. Ma, se non per me, era pur vera per gli altri; e la certezza che questi altri avevano
fin da jeri della mia morte era su me come una insopportabile sopraffazione, permanente,
schiacciante... Guardai di nuovo i miei compagni di viaggio e, quasi anch'essi, lì, sotto
gli occhi miei, riposassero in quella certezza, ebbi la tentazione di scuoterli da quei loro
scomodi e penosi atteggiamenti, scuoterli, svegliarli, per gridar loro che non era vero.
« Possibile? »
E rilessi ancora una volta la notizia sbalorditoja.
Non potevo più stare alle mosse. Avrei voluto che il treno s'arrestasse, avrei voluto che
corresse a precipizio: quel suo andar monotono, da automa duro, sordo e greve, mi faceva
crescere di punto in punto l'orgasmo. Aprivo e chiudevo le mani continuamente, affondandomi
le unghie nelle palme; spiegazzavo il giornale; lo rimettevo in sesto per rilegger la notizia
che già sapevo a memoria, parola per parola.
« Riconosciuto! Ma è possibile che m'abbiano riconosciuto?... In istato d'avanzata putrefazione...
puàh! »
Mi vidi per un momento, lì nell'acqua verdastra della gora, fradicio, gonfio, orribile, galleggiante...
Nel raccapriccio istintivo, incrociai le braccia sul petto e con le mani mi palpai, mi
strinsi:
« Io, no; io, no... Chi sarà stato?... mi somigliava, certo... Avrà forse avuto la barba anche
lui, come la mia... la mia stessa corporatura... E m'han riconosciuto!... Scomparso da parecchi
giorni... Eh già! Ma io vorrei sapere, vorrei sapere chi si è affrettato così a riconoscermi.
Possibile che quel disgraziato là fosse tanto simile a me? vestito come me? tal
quale? Ma sarà stata lei, forse, lei, Marianna Dondi, la vedova Pescatore: oh! m'ha pescato
subito, m'ha riconosciuto subito! Non le sarà parso vero, figuriamoci! - E' lui, è lui! mio
genero! ah, povero Mattia! ah, povero figliuolo mio! - E si sarà messa a piangere fors'anche;
si sarà pure inginocchiata accanto al cadavere di quel poveretto, che non ha potuto
tirarle un calcio e gridarle: - Ma lèvati di qua: non ti conosco -. »
Fremevo. Finalmente il treno s'arrestò a un'altra stazione. Aprii lo sportello e mi precipitai
giù, con l'idea confusa di fare qualche cosa, subito: un telegramma d'urgenza per smentire
quella notizia.
Il salto che spiccai dal vagone mi salvò: come se mi avesse scosso dal cervello quella
stupida fissazione, intravidi in un baleno... ma sì! la mia liberazione la libertà una vita nuova!
Avevo con me ottantaduemila lire, e non avrei più dovuto darle a nessuno! Ero morto, ero
morto: non avevo più debiti, non avevo più moglie, non avevo più suocera: nessuno! libero!
libero! libero! Che cercavo di più?
Pensando così, dovevo esser rimasto in un atteggiamento stranissimo, là su la banchina
di quella stazione. Avevo lasciato aperto lo sportello del vagone. Mi vidi attorno parecchia
gente, che mi gridava non so che cosa; uno, infine, mi scosse e mi spinse, gridandomi più
forte:
- Il treno riparte!
- Ma lo lasci, lo lasci ripartire, caro signore! - gli gridai io, a mia volta. - Cambio treno!
Mi aveva ora assalito un dubbio: il dubbio se quella notizia fosse già stata smentita; se già
si fosse riconosciuto l'errore, a Miragno; se fossero saltati fuori i parenti del vero morto a
correggere la falsa identificazione.
Prima di rallegrarmi così, dovevo bene accertarmi, aver notizie precise e particolareggiate.
Ma come procurarmele?
Mi cercai nelle tasche il giornale. Lo avevo lasciato in treno. Mi voltai a guardare il binario
deserto, che si snodava lucido per un tratto nella notte silenziosa, e mi sentii come smarrito,
nel vuoto, in quella misera stazionuccia di passaggio. Un dubbio più forte mi assalì, allora:
che io avessi sognato?
Ma no:
« Ci telegrafano da Miragno. Jeri, sabato 28... »
Ecco: potevo ripetere a memoria, parola per parola, il telegramma. Non c'era dubbio! Tuttavia,
sì, era troppo poco; non poteva bastarmi.
Guardai la stazione; lessi il nome: ALENGA.
Avrei trovato in quel paese altri giornali? Mi sovvenne che era domenica. A Miragno, dunque,
quella mattina, era uscito Il Foglietto, l'unico giornale che vi si stampasse. A tutti i costi
dovevo procurarmene una copia. Lì avrei trovato tutte le notizie particolareggiate che
m'abbisognavano. Ma come sperare di trovare ad Alenga Il Foglietto? Ebbene: avrei telegrafato
sotto un falso nome alla redazione del giornale. Conoscevo il direttore, Miro Colzi,
Lodoletta come tutti lo chiamavano a Miragno, da quando, giovinetto, aveva pubblicato
con questo titolo gentile il suo primo e ultimo volume di versi.
Per Lodoletta però non sarebbe stato un avvenimento quella richiesta di copie del suo
giornale da Alenga? Certo la notizia più « interessante » di quella settimana, e perciò il
pezzo più forte di quel numero, doveva essere il mio suicidio. E non mi sarei dunque esposto
al rischio che la richiesta insolita facesse nascere in lui qualche sospetto?
« Ma che! » pensai poi. « A Lodoletta non può venire in mente ch'io non mi sia affogato
davvero. Cercherà la ragione della richiesta in qualche altro pezzo forte del suo numero
d'oggi. Da tempo combatte strenuamente contro il Municipio per la conduttura dell'acqua e
per l'impianto del gas. Crederà piuttosto che sia per questa sua "campagna". »
Entrai nella stazione.
Per fortuna, il vetturino dell'unico legnetto, quello de la posta, stava ancora lì a chiacchierare
con gl'impiegati ferroviarii: il paesello era a circa tre quarti d'ora di carrozza dalla stazione,
e la via era tutta in salita.
Montai su quel decrepito calessino sgangherato, senza fanali; e via nel buio.
Avevo da pensare a tante cose; pure, di tratto in tratto, la violenta impressione ricevuta alla
lettura di quella notizia che mi riguardava così da vicino mi si ridestava in quella nera,
ignota solitudine, e mi sentivo, allora, per un attimo, nel vuoto, come poc'anzi alla vista del
binario deserto; mi sentivo paurosamente sciolto dalla vita, superstite di me stesso, sperduto,
in attesa di vivere oltre la morte, senza intravedere ancora in qual modo.
Domandai, per distrarmi, al vetturino, se ci fosse ad Alenga un'agenzia giornalistica:
- Come dice? Nossignore!
- Non si vendono giornali ad Alenga?
- Ah! sissignore. Li vende il farmacista, Grottanelli.
- C'è un albergo?
- C'è la locanda del Palmentino.
Era smontato da cassetta per alleggerire un po' la vecchia rozza che soffiava con le froge
a terra. Lo discernevo appena. A un certo punto accese la pipa e lo vidi, allora, come a
sbalzi, e pensai: « Se egli sapesse chi porta... ».
Ma ritorsi subito a me stesso la domanda:
« Chi porta? Non lo so più nemmeno io. Chi sono io ora? Bisogna che ci pensi. Un nome,
almeno, un nome, bisogna che me lo dia subito, per firmare il telegramma e per non trovarmi
poi imbarazzato se, alla locanda, me lo domandano. Basterà che pensi soltanto al
nome, per adesso. Vediamo un po'! Come mi chiamo? »
Non avrei mai supposto che dovesse costarmi tanto stento e destarmi tanta smania la
scelta di un nome e di un cognome. Il cognome specialmente! Accozzavo sillabe, cosi,
senza pensare: venivano fuori certi cognomi, come: Strozzani, Parbetta, Martoni, Bartusi,
che m'irritavano peggio i nervi. Non vi trovavo alcuna proprietà, alcun senso. Come se, in
fondo, i cognomi dovessero averne... Eh, via! uno qualunque... Martoni, per esempio, perché
no? Carlo Martoni... Uh, ecco fatto! Ma, poco dopo, davo una spallata: « Sì! Carlo
Martello... ». E la smania ricominciava.
Giunsi al paese, senza averne fissato alcuno. Fortunatamente, là, dal farmacista, ch'era
anche ufficiale telegrafico e postale, droghiere, cartolajo, giornalajo, bestia e non so che
altro, non ce ne fu bisogno. Comprai una copia dei pochi giornali che gli arrivavano: giornali
di Genova: Il Caffaro e Il Secolo XIX; gli domandai poi se potevo avere Il Foglietto di
Miragno.
Aveva una faccia da civetta, questo Grottanelli con un pajo d'occhi tondi tondi, come di vetro,
su cui abbassava, di tratto in tratto, quasi con pena certe pàlpebre cartilaginose.
- Il Foglietto? Non lo conosco.
- E' un giornaluccio di provincia, settimanale, - gli spiegai. - Vorrei averlo. Il numero d'oggi,
s'intende.
- Il Foglietto? Non lo dieci - badava a ripetere.
- E va bene! Non importa che lei non lo conosca io le pago le spese per un vaglia telegrafico
alla redazione. Ne vorrei avere dieci venti copie, domani o al più presto. Si può?
Non rispondeva: con gli occhi fissi, senza sguardo, ripeteva ancora: - Il Foglietto?... Non lo
conosco -. Finalmente si risolse a fare il vaglia telegrafico sotto la mia dettatura, indicando
per il recapito la sua farmacia.
E il giorno appresso, dopo una notte insonne, sconvolta da un tempestoso mareggiamento
di pensieri, là nella Locanda del Palmentino, ricevetti quindici copie del Foglietto.
Nei due giornali di Genova che, appena rimasto solo, m'ero affrettato a leggere, non avevo
trovato alcun cenno. Mi tremavano le mani nello spiegare Il Foglietto. In prima pagina, nulla.
Cercai nelle due interne, e subito mi saltò a gli occhi un segno di lutto in capo alla terza
pagina e, sotto, a grosse lettere, il mio nome. Così:
MATTIA PASCAL
Non si avevano notizie di lui da alquanti giorni: giorni di tremenda costernazione e
d'inenarrabile angoscia per la desolata famiglia; costernazione e angoscia condivise
dalla miglior parte della nostra cittadinanza, che lo amava e lo stimava per la bontà
dell'animo, per la giovialità del carattere e per quella natural modestia, che gli aveva
permesso, insieme con le altre doti, di sopportare senza avvilimento e con rassegnazione
gli avversi fati, onde dalla spensierata agiatezza si era in questi ultimi
tempi ridotto in umile stato.
Quando, dopo il primo giorno dell'inesplicabile assenza, la famiglia impressionata si
recò alla Biblioteca Boccamazza, dove egli, zelantissimo del suo ufficio, si tratteneva
quasi tutto il giorno ad arricchire con dotte letture la sua vivace intelligenza, trovò
chiusa la porta; subito, innanti a questa porta chiusa, sorse nero e trepidante il sospetto,
sospetto tosto fugato dalla lusinga che durò parecchi dì, man mano però raffievolendosi,
ch'egli si fosse allontanato dal paese per qualche sua segreta ragione.
Ma ahimè! La verità doveva purtroppo esser quella!
La perdita recente della madre adoratissima e, a un tempo, dell'unica figlioletta, dopo
la perdita degli aviti beni, aveva profondamente sconvolto l'animo del povero amico
nostro. Tanto che, circa tre mesi addietro, già una prima volta, di notte tempo,
egli aveva tentato di pôr fine a' suoi miseri giorni, là, nella gora appunto di quel molino,
che gli ricordava i passati splendori della sua casa ed il suo tempo felice.
...Nessun maggior dolore Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria...
Con le lacrime agli occhi e singhiozzando cel narrava, innanzi al grondante e disfatto
cadavere, un vecchio mugnajo, fedele e devoto alla famiglia degli antichi padroni.
Era calata la notte, lugubre; una lucerna rossa era stata deposta lì per terra, presso
al cadavere vigilato da due Reali Carabinieri e il vecchio Filippo Brina (lo segnaliamo
all'ammirazione dei buoni) parlava e lagrimava con noi. Egli era riuscito in quella
triste notte a impedire che l'infelice riducesse ad effetto il violento proposito; ma non
si trovò più là Filippo Brina pronto ad impedirlo, questa seconda volta. E Mattia Pascal
giacque, forse tutta una notte e metà del giorno appresso, nella gora di quel
molino.
Non tentiamo nemmeno di descrivere la straziante scena che seguì sul luogo,
quando l'altro ieri, in sul far della sera, la vedova sconsolata si trovò innanzi alla miseranda
spoglia irriconoscibile del diletto compagno, che era andato a raggiungere
la figlioletta sua.
Tutto il paese ha preso parte al cordoglio di lei e ha voluto dimostrarlo accompagnando
all'estrema dimora il cadavere, a cui rivolse brevi e commosse parole d'addio
il nostro assessore comunale cav. Pomino.
Noi inviamo alla povera famiglia immersa in tanto lutto, al fratello Roberto lontano
da Miragno, le nostre più sentite condoglianze, e col cuore lacerato diciamo per l'ultima
volta al nostro buon Mattia: - Vale, diletto amico, vale!
M. C.
Anche senza queste due iniziali avrei riconosciuto Lodoletta come autore della necrologia.
Ma debbo innanzi tutto confessare che la vista del mio nome stampato lì, sotto quella striscia
nera, per quanto me l'aspettassi, non solo non mi rallegrò affatto, ma mi accelerò talmente
i battiti del cuore, che, dopo alcune righe, dovetti interrompere la lettura. La « tremenda
costernazione e l'inenarrabile angoscia » della mia famiglia non mi fecero ridere,
né l'amore e la stima dei miei concittadini per le mie belle virtù, né il mio zelo per l'ufficio. Il
ricordo di quella mia tristissima notte alla Stìa, dopo la morte della mamma e della mia
piccina, ch'era stato come una prova, e forse la più forte, del mio suicidio, mi sorprese
dapprima, quale una impreveduta e sinistra partecipazione del caso; poi mi cagionò rimorso
e avvilimento.
Eh, no! non mi ero ucciso, io, per la morte della mamma e della figlietta mia, per quanto
forse, quella notte, ne avessi avuto l'idea! Me n'ero fuggito, è vero, disperatamente; ma,
ecco, ritornavo ora da una casa di giuoco, dove la Fortuna nel modo più strano mi aveva
arriso e continuava ad arridermi, e un altro, invece, s'era ucciso per me, un altro, un forestiere
certo, cui io rubavo il compianto dei parenti lontani e degli amici, e condannavo - oh
suprema irrisione! - a subir quello che non gli apparteneva falso compianto, e finanche l'elogio
funebre dell'incipriato cavalier Pomino!
Questa fu la prima impressione alla lettura di quella mia necrologia sul Foglietto.
Ma poi pensai che quel pover'uomo era morto non certo per causa mia, e che io, facendomi
vivo non avrei potuto far rivivere anche lui; pensai che approfittandomi della sua morte,
io non solo non frodavo affatto i suoi parenti, ma anzi venivo a render loro un bene: per
essi, infatti, il morto ero io non lui, ed essi potevano crederlo scomparso e sperare ancora,
sperare di vederlo un giorno o l'altro ricomparire.
Restavano mia moglie e mia suocera. Dovevo proprio credere alla loro pena per la mia
morte, a tutta quella « inenarrabile angoscia », a quel « cordoglio straziante » del funebre
pezzo forte di Lodoletta? Bastava, perbacco, aprir pian piano un occhio a quel povero
morto, per accorgersi che non ero io; e anche ammesso che gli occhi fossero rimasti in
fondo alla gora, via! una moglie, che veramente non voglia, non può scambiare così facilmente
un altro uomo per il proprio marito.
Si erano affrettate a riconoscermi in quel morto? La vedova Pescatore sperava ora che
Malagna, commosso e forse non esente di rimorso per quel mio barbaro suicidio, venisse
in ajuto della povera vedova? Ebbene: contente loro, contentissimo io!
« Morto? affogato? Una croce, e non se ne parli più! »
Mi levai, stirai le braccia e trassi un lunghissimo respiro di sollievo.
VII. I Change Cars
“First I'll get 'The Coops' out of Purgatory, and go to live there, working the mill. Good idea to keep close to the soil—better still if you can get under it.... “Any trade, when you think of it, has its good points. ... Even a grave digger's.... A miller has the satisfaction of hearing the stones go round... and the flour flies all about and covers you white.... Some fun in that.... “Bet they haven't opened a bag of grain in that mill in a dog's age... but the moment I take hold of it.... “Signer Mattia, the belt is off the fly−wheel! Eh, Signer Mattia, need a new shaft here! This gear is loose, Signor Mattia!... As it was in the old days, when mamma was still alive and Malagna was running things.... “While I'm busy at the mill, I'll have to have somebody look after the farming... and he'll skin the eye−teeth out of me!... Or, if I attend to that myself, my miller will do me at the mill.... A sort of see−saw ... miller up, farm−hand down, farm−hand up, miller down... I sitting in the middle, to balance and enjoy the performance.... “Ah, I have it... I get into one of those old chests where the widow keeps the clothes of the late Francesco Antonio Pescatore... in camphor and moth balls... like holy relics... dress her up in a suit of them... and let her be miller... and run the other fellow too, for that matter, while I continue holding down my job at old Boccamazza's library.... And life in the country would do Romilda good....” Such my rambling thoughts as the train ran along. I could not close my eyes, but the vivid picture of that boy lying there on the driveway at Monte Carlo... so naturally, so much at ease, under the green trees, in the cool of the bright morning... would crowd its way to the forefront of my mind. Or, if I succeeded in expelling that horrible vision, another, less bloody but not less terrifying, would take its place: the picture of my mother−in−law and my wife, waiting for me at home. I had been gone just two weeks minus one day.... How would they welcome my return? I amused myself building up the scene in anticipation.... I walk into the house.... The two of them... just a glance, a glance of supreme indifference, as much as to say: “Huh, back again? And without your neck broken, worse luck!” For a time, everybody mum, they on their side, I on mine.... Then the widow pipes up.... “How about that job you've gone and lost?” That's so! When I went away, I took the library key off in my pocket.... I fail to show up, so the constable breaks down the door. I am nowhere to be found. ... Reported missing!... No news from me anywhere.... Four, five, six days... and they give the place to some other loafer like me.... So then.... “What is His Royal Highness doing here? Waiting for his dinner? No sir.... Been off on a toot for a week or so, eh? Well, you've found your level! Stick to it! But there's no obligation on two hard−working women to support a vagrant about the house! Off on a tear... with who knows what gutter−wench. ...” And I... mum as an oyster.... And the old woman growing madder and madder, because she can't get a word out of me.... I, in fact, still mum as an oyster.... Until, when she's really blowing off steam... I take a little bundle out of my inside pocket... and begin to count it out on the table... two... six... ten thousand, in that pile... five, seven... ten thousand, in that pile... forty, fifty, sixty.... (Four eyes and two mouths wide open: “Who have you been holding up now?”...) “... seventy thousand, seventy−five thousand... eighty... eighty−one thousand seven hundred and twenty−five... and forty centimes for good measure! ...” And I gather up the money, stuff it into my purse, put it into my pocket, and get up.... “So you're firing me out? Better than I hoped for! Thanks! Goodbye and good luck, fair ladies!...” And I laughed aloud.... The people in my compartment had been watching me as I sat there gloating over my triumph.... They tried to suppress their mirth when I looked up....To conceal my humiliation under a scowl, I applied myself to the question of my creditors, who would pounce upon me the moment reports of all that money got around.... “No hiding such a sum.... Besides what's the use of money if you can't use it?... A slim chance of spending any of it on myself.... Well, so I start in business at the mill, with the income from the farm on the side... but there's the overhead and the repairs ... money here, money there... years and years before I could pay them all off... whereas, for cash, they'd probably settle for little or nothing....” I went into this latter recourse, dividing my bank notes up between the lot of them: “That pig−snout of a Recchioni... ten thousand. ... And five more for Filippo Brisigo... wish to God it was for his funeral... seven to Lunaro, the old skinflint. Turin was a better place, after he left... and old woman Lippani.... That's about all, I guess.... No... there's also Delia Piana, and there's Bossi, and there's Margottini... and—Good God, the whole blamed eighty is gone.... So I was working for those people up at Monte Carlo? Why the devil didn't I stop after I won that pile.... But for those last two days, I could pay them all, and still be a rich man....” By this time I was swearing under my breath, and my fellow passengers laughed aloud without restraint. I hitched nervously about in my seat.... Daylight was fading from the windows of the car.... The air was dry and dusty. Ugh! What a nuisance, a railroad train! Anything to kill time.... I thought I might read myself to sleep... so I bought a newspaper at a station just across the Italian frontier.... The electric lights came on. I unfolded the paper and started on the front page. Interesting!... The Castle of Valencay sold at auction! Two million three hundred thousand francs! Counting the lands that go with it, the largest single holding in France! Count de Castellane bought it in.... “Same way I lost 'The Coops,' I guess!” The King of Spain, at one thirty today, entertained a delegation of Moroccan chiefs at luncheon at the Palace.... The mission then paid its respects to the Queen.... “Must have been a good feed.” Paris, the 28th. Envoys from Tibet bringing gifts from the Lama to the President of France. “What the deuce is a Lama!... Thought it was a kind of camel....” I did not settle the point, for I fell asleep. I was awakened by the bumping of my car,. as the brakes stopped us short. We were coming into another station. I looked at my watch. Eight fifteen.... In another hour I would be arriving at my destination. The newspaper was still open on my knees. I skipped the item about the Lama and turned the page. My eyes fell on a head−line in extra−heavy type: SUICIDE Supposing the story referred to the tragedy of that morning at Monte Carlo, I straightened up to read it more carefully.... At the first line, which was printed in very small type, I stopped in surprise. “Special despatch, by telegraph, from Miragno.” Miragno? Who's been killing himself down there in my village? I read on: “Yesterday, the 28th, a body, in an advanced state of decomposition, was discovered in the mill−flume of the farm called....” At this point my sight seemed suddenly to go blurred, for I thought the next word was a name familiar to me. The lighting in the compartment was very dim, and that added to the difficulty I experienced in reading with my one eye. I stood up to bring the paper closer to the bulbs... “... decomposition, was discovered in the mill−flume of the farm called 'The Coops,' located about two miles from this town. The police were notified and proceeded to the spot. The body was recovered from the water and, as the law requires, laid out on the bank under guard, for an inquest by the State's physician. The corpse was later identified as that of our...” My heart leapt to my throat, and in utter bewilderment I looked about at my companions. They were all asleep. “body was recovered... laid out on the bank... identified as that of our...” “I? I?” “... by the State's physician. The corpse was later identified as that of our village librarian, Mattia Pascal, who has been missing for some days. Financial troubles are assigned as the cause of the tragedy.” “I? Missing? Identified?... Mattia Pascal?” A ferocious grin upon my face, my heart thumping tumultuously in my breast, I read and reread the lines, I know not how many times. At a first impulse, all my being rebelled in bitter protest, as though that cold, laconic item in the news required a denial from me, to convince even myself that it was not true. True it was for other people, at any rate; and the conviction—already a day old—that they had of my death impressed me as a crushing, overwhelming, intolerable act of vio−lence unjustly delivered against me, leaving me destroyed for ever. My eyes turned wildly again upon my fellow passengers. Could they be thinking so too? There they sat, sleeping, snoring, in various positions of torture. I felt like shaking them all awake, to scream into their faces that it was not, that it could not be, true. “But I must be dreaming!” I caught up the paper again to read the item once more. I was in a frenzy of excitement. Should I not pull the emergency brake and stop the train? No! Well—what was it poking along that way for? Its monotonous, grinding, bumping, rattling grated on my nerves till I was in a paroxysm of irritation. I opened and closed my hands spasmodically, sinking my nails into my palms. Again I unfolded the paper, holding the two sheets out flat before me, my two arms extended. ... Then I folded it up again, with the article on the outside. But I knew what it said, by heart. “Identified! How? How could they have identified me? In an advanced state of decomposition... a−a−ah!” I thought of myself for a moment floating there in the green water of the Flume—my body blackened, swollen, bursting, disgusting to look upon.... With a shudder of horrified loathing, I crossed my arms over my breast, pinching my biceps with either hand: “I? No, not I!...” Who can it have been? Someone like me, certainly... my beard, perhaps... my build... And they identified me!... “'Missing for some days.'... A−ah yes! But one thing I should like to know: I should like to know who was in such a hurry to get me identified? That poor devil... as much like me as all that? Just like me—clothes, everything? Ah, I see! It was she... it was Marianna Dondi... that Pescatore woman! Hoping it would be I, she made it so! She identified me, at once, off hand! Too good almost to be true! Just hear her taking on: 'Oh my poor, poor boy! Oh my poor, poor Mattia! Yes, it's he! It's he! What will my daughter ever do now...!' And she probably found a few tears too—and improvised a scene beside the corpse! The poor devil was too dead to boot her out of there with a 'Give us a rest: I don't know you!'“ I was quite beside myself. The train drew into another station and came to a stop. I threw open the side door and jumped to the ground, with the idea of doing something about it immediately—a telegram perhaps contradicting the report of my death. But I struck so hard upon the platform of the station, that I was jarred from head to foot; and to that I owed my salvation. For a sudden realization flashed through my mind, as though the stupid obsession that had taken hold on me had been shaken loose: “Of course! Freedom! Liberty! Why did you not think of it before? Freedom! Freedom! The chance for a new life!” Eighty−two thousand lire in my inside pocket, and no obligations to anyone. I was dead! And a dead man has no debts! A dead man has no wife! A dead man has no mother−in−law! What more could a fellow ash for? I was free, free, free! I must have had a very queer look as I stood there beside my car with this new inspiration written over my face. In any case, I had left the compartment door open behind me; and I was suddenly aware of a number of trainmen calling to me, I did not know why. One of them ran up to me at last, shook me by the arm, and shouted angrily: “Get aboard, man! The train is starting!” “Let her start!” I answered. “Let her start! I'm changing cars!” But now a terrifying doubt came into my mind. That report—supposing it had already been denied? Supposing people at Miragno had discovered the mistake—relatives of the dead man perhaps, making a real identification.... Before counting my chickens, I had better wait for them to hatch.... I ought to get confirmation of the whole story. And how, how? I felt for the newspaper in my pockets, but, unfortunately, I had left it in the train. Instinctively my eyes turned down along the deserted track that stretched away into the night, its two lines of cold steel shining bright from the lamps of the station. A pang of utter loneliness came over me and for a second I quite lost my head again. What a nightmare! And supposing it were all just a dream! But no... I had really read the thing: “Special despatch, by telegraph, from Miragno, yesterday, the 28th.... “You see? You can say it over word for word! No dream then! And yet... well, you need proof, more proof than that!” Where was I, anyhow? I looked for the sign on the front of the station: ALENGA. Not much of a place! And it was Sunday, too. Poor chance of a fellow's finding a newspaper in that hole on a holiday! And yet, Miragno was not so far away! Well, at Miragno, that morning, there must have been an edition of the Compendium, the only paper published in the neighborhood. I must get a copy, somehow. The Compendium would be sure to have the story, down to the last detail. But Alenga! How expect anybody in Alenga to have the Compendium? But I could telegraph. Ah, that was an idea! I could telegraph—assumed name of course! I could telegraph to the editor—Miro Colzi—everybody knew Miro Colzi—the “Meadow Lark” as we called him, after he got out a volume of poems—his first and last—under that title. But the “Meadow Lark!” Wouldn't he think it suspicious to be getting an order for his paper from Alenga? Certainly the leading story for that issue—the paper was a weekly—would be my suicide. Wouldn't there be some risk in telegraphing—telegraphing especially for that particular number? “But, no, how could there be?” I then thought. “Colzi will have it in his head that I am dead! Meantime he has ambitions of his own. He is attacking this administration on the water and gas question. He'll imagine people here have heard about him and want to read his last editorial.” I went along into the station. Luckily the mail carrier had stopped for a chat with the freight agent; and his wagon was still there. It was some four miles from the station to the village of Alenga proper, and uphill all the way. I climbed into the rickety cart; and we drove off into the dark, without lights on the wagon of any kind. There were many things for me to think about; and yet, from time to time, in the black solitude all about me now, I would be overwhelmed by the same violent emotion I had received in the train from the reading of that disconcerting piece of news. It was that same sense of loneliness I had experienced at sight of the rails of the deserted track, a feeling of fear and uneasiness, as though I were the ghost of my dead self, astray somewhere, cut off from life, and yet certain to continue living, beyond my death, without knowing just how. To shake off my uncanny oppression, I struck up a conversation with my driver. “Is there a news agency at Alenga?” “Agency?—No, sir!” “What? Can't you buy a newspaper in the place?” “Ah, newspapers! Yes, you can get them from Grot−tanelli, at the drug store!” “I suppose there's a hotel?” “There's a boarding house—Palmentino's.” We had come to a steep incline; and the man got down from his seat to make a lighter load for his poor winded nag. In the almost total darkness I could scarcely distinguish his figure as he walked along. But at one point he stopped to light his pipe, and I could see him clearly. A shudder ran over me: “If he only knew who it is he has with him tonight...!” But then I turned the same query upon myself! “Well, who is it he has with him! I couldn't say! am I? I shall have to decide. I need a name, at least—and before long! When they send the telegram, I shall have to give them a name to sign; and I mustn't be embarrassed when they ask for one at the boarding house. Yes, a name—just a name will do, for a starter. Let's see: what is my name?” I should never have dreamed it would be so hard to find a name, especially a last name. I began fitting syllables together just as they cam into my mind; and I got all sorts of queer things as a result! “Strozzani,” “Parbetta,” “Martoni,” “Bartusi.” Ugh! The problem began to grip my nerves. The names I found seemed all so meaningless, so empty!—“Nonsense! As though names needed to have meanings! Come, pull yourself together! Anything will do! You had Martoni! What's the matter with Martoni? Charles Martoni—there you are!” But a moment later, I would shrug my shoulders! “Yes, Charles—Martel!” And so, all over again! We arrived at the village and still I had failed to make up my mind. Fortunately there was no occasion for using a name for the druggist, who proved to be telegraph clerk, postal clerk, pharmacist, stationer, newsboy, all around donkey, and I don't know what else. I bought copies of the newspapers he had in stock, the Carriere and the Secolo from Milan, the Caffaro, and one or two others, from Genoa. “I don't suppose you have the Compendium of Miragno?” Grottanelli had a pair of big round owl's eyes, that looked like balls of glass. Every so often he would force a pair of stiff, thick eyelids down over them. “The Compendium? of Miragno?... Never heard of it!” “It's a small town sheet, weekly, I believe! I thought I would like to see it—today's number, that is!” “The Compendium? Miragno? Never heard of it!” And he kept repeating this, stolidly. “That doesn't matter. Few people have! Nevertheless, I've got to have ten or dozen copies of the thing right away. Can you get them for me? I'll pay the expenses for telegraphing the order tonight.” The man made no answer. A blank expression on his face, he persisted still: “The Compendium? Miragno? Never heard of it!” But he finally consented to make up the telegram, at my dictation, and to give his store as the address. It was a horrible night I passed there in the boarding house of Palmentino's, a sleepless night of distracted tossing on a sea of tumultuous thoughts and worries. But the afternoon mail of the following day brought me fifteen copies of the Compendium. The Genoa papers of the day before had said nothing whatever about the tragedy at Miragno; and now my hands trembled as I opened the bundle before me. On the first page, nothing. Feverishly I turned to the inner sheets. Ah! Across two columns of the third page ran lines of mourning in heavy black. Under them was my name in big broadfaced type: MATTIA PASCAL “He had been missing for some days—days of consternation and unspeakable anguish for his family, and of concern for the people of this town who had learned to love Mattia Pascal for that goodness of heart and joviality of temperament which, with his other gifts of character, enabled him to meet misfortune with dignity and courage, and to fall, without loss of public esteem, from the moneyed ease that once was his to the humble circumstances in which he lived in recent years. “After a day of unexplained absence on his part, his family went, in some alarm, to the Boccamazza Library where Mattia Pascal, passionately devoted to his work as a public servant, spent most of his time, enriching with wide and varied readings his native endowments as a scholar. The door of the Library was closed and locked, a fact which at first gave rise to very grave suspicions. For the moment, however, these were shown to be groundless; and it was hoped that our beloved Librarian had slipped out of town on private business which he had divulged to no one. But alas, the sorry truth was soon to be revealed. The death of his mother, whom he adored, and on the same day, of his only child, together with financial worries arising from the loss of his ancestral properties, had shaken our poor friend too deeply! “It seems that, on a previous occasion, some three months ago, Mattia Pascal tried to put an end to his unhappy days in the very water where his body has just been found—the mill−flume of the estate known as 'The Coops,' which, in days gone by, had been one of the prides of the Pascal inheritance. We got the story from a former employee of the family, Filippo Brina, miller on the farm. Standing there beside the corpse—it was night, and two policemen, with lanterns, were on guard about the body—the old man with tears in his eyes, told the reporter of the Compendium how he had prevented the grieving son and father from executing his violent intention at that time. But Filippo Brina could not always be on hand. On his second attempt to end his own life, Mattia Pascal threw himself into the Flume and there his body lay for two whole days. “There was a heartrending scene when, night before last, the desperate widow was led down to the water's edge to view the now unrecognizable remains of her loved companion who had gone to join his daughter and his mother in the other world. “In token of sympathy for her bereavement and of esteem for the departed, the people of the town turned out, en masse, to accompany the body to its last resting place, over which our Superintendent of Schools, Mr. Gerolamo Pomino, Chevalier of the Crown, pronounced a touching eulogy. “The Compendium extends to the bereaved family and to Mr. Roberto Pascal, brother of the deceased and formerly a resident of this town, expressions of its sincerest sympathy. Vale, dilecte amice, vale! M. C.” Though I should have been quite dismayed had I found nothing in the paper, I must confess that my name, printed there, under that black line, did not give me the pleasure I had expected. On the contrary, it filled me with such painful emotions that after a few lines I had to give up. That touch about the “consternation” and “anguish” of my “bereaved” family did not amuse me at all; nor did the bosh about the “esteem” of my fellow townsmen, or my “passionate” devotion to my work a public servant. Rather I was impressed by the reference to the night of mourning I had passed at “The Coops” after the death of mother and my little girl. The fact that that had served as a proof, indeed as the strongest proof, of my suicide at first surprised me as an unforeseen and cynical irony of fate. Then it caused me shame and remorse. No, I had no right to the profits of such a cruel misunderstanding. I had not killed myself in sorrow for my two dearest ones, though the thought of doing so had indeed occurred to me that night. To be sure, I had run away, in sheer despair at that great bereavement. But here I was on my way home again; and from a gambling house where Fortune had smiled on me in the strangest manner! Just as she was continuing to smile! For here, now, if you please, someone else, someone surely whom I did not even know, had killed himself in my place; and, depriving this benefactor of mine of the pity and the sorrow of friends and relatives which rightfully belonged to him, I was also compelling him to submit to the hypocritical weeping of my wife and my mother−in−law and even to a eulogy from the painted lips of Mr. Gerolamo Pomino! Yes, these were my first impressions on reading my obituary in the Miragno Compendium. But then I reflected that, of course, the poor fellow had not really died on my account, and that I could not render him the slightest service by coming to life again. The fact that I would gain incidentally from his misfortune imposed no sacrifice on his people. Indeed I would be doing them a favor by keeping still. In their eyes, the suicide was I, Mattia Pascal. They could still hope that their man had simply disappeared, that he might return again almost any day. As for my wife and my mother−in−law, did I owe them any consideration in the matter? All that “anguish,” all that “consternation”—was it really so? Were they not, more probably, phrases, invented by the “Meadow Lark”? To make sure whether it was I or not, all they had to do, was lift the eyelid of my left eye! And anyhow—even if there had been no eyes left—a woman isn't fooled so easily as that where her own husband is concerned! Why were they so anxious to have it me? Doubtless the widow Pescatore hoped that Ma−lagna would feel just a little bit responsible for my terrible end, and come to the rescue of his poor “niece” again. Well, if that was their game, why should I try to spoil it? “Dead? Buried? That suits me! A cross on the grave, and good−bye, fair ladies!” I arose from the table where I had been reading, stretched my arms and legs deliriously and heaved a deep sigh of relief.
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