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XVII: Rincarnazione

Arrivai alla stazione in tempo per il treno delle dodici e dieci per Pisa. Preso il biglietto, mi rincantucciai in un vagone di seconda classe, con la visiera del berrettino calcata fin sul naso, non tanto per nascondermi, quanto per non vedere. Ma vedevo lo stesso, col pensiero: avevo l'incubo di quel cappellaccio e di quel bastone, lasciati lì, sul parapetto del ponte. Ecco, forse qualcuno, in quel momento, passando di là, li scorgeva... o forse già qualche guardia notturna era corsa in questura a dar l'avviso... E io ero ancora a Roma! Che s'aspettava? Non tiravo più fiato... Finalmente il convoglio si scrollò. Per fortuna ero rimasto solo nello scompartimento. Balzai in piedi, levai le braccia, trassi un interminabile respiro di sollievo, come se mi fossi tolto un macigno di sul petto. Ah! tornavo a esser vivo, a esser io, io Mattia Pascal. Lo avrei gridato forte a tutti, ora: « Io, io, Mattia Pascal! Sono io! Non sono morto! Eccomi qua! ». E non dover più mentire, non dover più temere d'essere scoperto! Ancora no, veramente: finché non arrivavo a Miragno... Là, prima, dovevo dichiararmi, farmi riconoscer vivo, rinnestarmi alle mie radici sepolte... Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici? Eppure, eppure, ecco, ricordavo l'altro viaggio, quello da Alenga a Torino: m'ero stimato felice, allo stesso modo, allora. Folle! La liberazione! dicevo... M'era parsa quella la liberazione! Sì, con la cappa di piombo della menzogna addosso! Una cappa di piombo addosso a un'ombra... Ora avrei avuto di nuovo la moglie addosso, è vero, e quella suocera... Ma non le avevo forse avute addosso anche da morto? Ora almeno ero vivo, e agguerrito. Ah, ce la saremmo veduta! Mi pareva, a ripensarci, addirittura inverosimile la leggerezza con cui, due anni addietro, m'ero gettato fuori d'ogni legge, alla ventura. E mi rivedevo nei primi giorni, beato nell'incoscienza, o piuttosto nella follia, a Torino, e poi man mano nelle altre città, in pellegrinaggio, muto, solo, chiuso in me, nel sentimento di ciò che mi pareva allora la mia felicità; ed eccomi in Germania, lungo il Reno, su un piroscafo: era un sogno? no, c'ero stato davvero! ah, se avessi potuto durar sempre in quelle condizioni; viaggiare, forestiere della vita... Ma a Milano, poi... quel povero cucciolotto che volevo comperare da un vecchio cerinajo... Cominciavo già ad accorgermi... E poi... ah poi! Ripiombai col pensiero a Roma; entrai come un'ombra nella casa abbandonata. Dormivano tutti? Adriana, forse, no... m'aspetta ancora, aspetta che io rincasi; le avranno detto che sono andato in cerca di due padrini, per battermi col Bernaldez; non mi sente ancora rincasare, e teme e piange... Mi premetti forte le mani sul volto, sentendomi stringere il cuore d'angoscia. - Ma se io per te non potevo esser vivo, Adriana, - gemetti, - meglio che tu ora mi sappia morto! morte le labbra che colsero un bacio dalla tua bocca, povera Adriana... Dimentica! Dimentica! Ah, che sarebbe avvenuto in quella casa, nella prossima mattina, quando qualcuno della questura si sarebbe presentato a dar l'annunzio? A qual ragione, passato il primo sbalordimento, avrebbero attribuito il mio suicidio? Al duello imminente? Ma no! Sarebbe stato, per lo meno, molto strano che un uomo, il quale non aveva mai dato prova d'essere un codardo, si fosse ucciso per paura di un duello... E allora? Perché non potevo trovar padrini? Futile pretesto! O forse... chi sa! era possibile che ci fosse sotto, in quella mia strana esistenza, qualche mistero... Oh, sì: l'avrebbero senza dubbio pensato! M'uccidevo così, senz'alcuna ragione apparente, senza averne prima dimostrato in qualche modo l'intenzione. Sì: qualche stranezza, più d'una, l'avevo commessa in quegli ultimi giorni: quel pasticcio del furto, prima sospettato, poi improvvisamente smentito... Oh che forse quei denari non erano miei? dovevo forse restituirli a qualcuno? m'ero indebitamente appropriato d'una parte di essi e avevo tentato di farmi credere vittima d'un furto, poi m'ero pentito, e, in fine, ucciso? Chi sa! Certo ero stato un uomo misteriosissimo: non un amico, non una lettera, mai, da nessuna parte... Quanto avrei fatto meglio a scrivere qualche cosa in quel bigliettino, oltre il nome, la data e l'indirizzo: una ragione qualunque del suicidio. Ma in quel momento... E poi, che ragione? « Chi sa come e quanto, » pensai, smaniando, « strilleranno adesso i giornali di questo Adriano Meis misterioso... Salterà certo fuori quel mio famoso cugino, quel tal Francesco Meis torinese, ajuto-agente, a dar le sue informazioni alla questura: si faranno ricerche, su la traccia di queste informazioni, e chi sa che cosa ne verrà fuori. Sì, ma i danari? l'eredità? Adriana li ha veduti, tutti que' miei biglietti di banca... Figuriamoci Papiano! Assalto allo stipetto! Ma lo troverà vuoto... E allora, perduti? in fondo al fiume? Peccato! peccato! Che rabbia non averli rubati tutti a tempo! La questura sequestrerà i miei abiti, i miei libri... A chi andranno? Oh! almeno un ricordo alla povera Adriana! Con che occhi guarderà ella, ormai, quella mia camera deserta? » Così, domande, supposizioni, pensieri, sentimenti tumultuavano in me, mentre il treno rombava nella notte. Non mi davano requie. Stimai prudente fermarmi qualche giorno a Pisa per non stabilire una relazione tra la ricomparsa di Mattia Pascal a Miragno e la scomparsa di Adriano Meis a Roma, relazione che avrebbe potuto facilmente saltare a gli occhi, specie se i giornali di Roma avessero troppo parlato di questo suicidio. Avrei aspettato a Pisa i giornali di Roma, quelli de la sera e quelli del mattino; poi, se non si fosse fatto troppo chiasso, prima che a Miragno, mi sarei recato a Oneglia, da mio fratello Roberto, a sperimentare su lui l'impressione che avrebbe fatto la mia resurrezione. Ma dovevo assolutamente vietarmi di fare il minimo accenno alla mia permanenza in Roma, alle avventure, ai casi che m'erano occorsi. Di quei due anni e mesi d'assenza avrei dato fantastiche notizie, di lontani viaggi... Ah, ora, ritornando vivo, avrei potuto anch'io prendermi il gusto di dire bugie, tante, tante, tante, anche della forza di quelle del cavalier Tito Lenzi, e più grosse ancora! Mi restavano più di cinquantadue mila lire. I creditori, sapendomi morto da due anni, s'erano certo contentati del podere della Stìa col mulino. Venduto l'uno e l'altro, s'erano forse aggiustati alla meglio: non mi avrebbero più molestato. Avrei pensato io, se mai, a non farmi più molestare. Con cinquantadue mila lire, a Miragno, via, non dico grasso, avrei potuto vivere discretamente. Lasciato il treno a Pisa, prima di tutto mi recai a comperare un cappello, della forma e della dimensione di quelli che Mattia Pascal ai suoi dì soleva portare; subito dopo mi feci tagliar la chioma di quell'imbecille d'Adriano Meis. - Corti, belli corti, eh? - dissi al barbiere. M'era già un po' ricresciuta la barba, e ora, coi capelli corti, ecco che cominciai a riprender il mio primo aspetto, ma di molto migliorato, più fino, già... ma sì, ringentilito. L'occhio non era più storto, eh! non era più quello caratteristico di Mattia Pascal. Ecco, qualche cosa d'Adriano Meis mi sarebbe tuttavia rimasta in faccia. Ma somigliavo pur tanto a Roberto, ora; oh, quanto non avrei mai supposto. Il guajo fu, quando - dopo essermi liberato di tutti quei capellacci - mi rimisi in capo il cappello comperato poc'anzi: mi sprofondò fin su la nuca! Dovetti rimediare, con l'ajuto del barbiere, ponendo un giro di carta sotto la fodera. Per non entrare così, con le mani vuote, in un albergo, comperai una valigia: ci avrei messo dentro, per il momento, l'abito che indossavo e il pastrano. Mi toccava rifornirmi di tutto, non potendo sperare che, dopo tanto tempo, là a Miragno, mia moglie avesse conservato qualche mio vestito e la biancheria. Comperai l'abito bell'e fatto, in un negozio, e me lo lasciai addosso; con la valigia nuova, scesi all'Hotel Nettuno. Ero già stato a Pisa quand'ero Adriano Meis, ed ero sceso allora all'Albergo di Londra. Avevo già ammirato tutte le meraviglie d'arte della città; ora, stremato di forze per le emozioni violente, digiuno dalla mattina del giorno avanti, cascavo di fame e di sonno. Presi qualche cibo, e quindi dormii quasi fino a sera. Appena sveglio, però, caddi in preda a una fosca smania crescente. Quella giornata quasi non avvertita da me, tra le prime faccende e poi in quel sonno di piombo in cui ero caduto, chi sa intanto com'era passata lì, in casa Paleari! Rimescolìo, sbalordimento, curiosità morbosa di estranei, indagini frettolose, sospetti, strampalate ipotesi, insinuazioni, vane ricerche; e i miei abiti e i miei libri, là, guardati con quella costernazione che ispirano gli oggetti appartenenti a qualcuno tragicamente morto. E io avevo dormito! E ora, in questa impazienza angosciosa, avrei dovuto aspettare fino alla mattina del giorno seguente, per saper qualche cosa dai giornali di Roma. Frattanto, non potendo correre a Miragno, o almeno a Oneglia, mi toccava a rimanere in una bella condizione, dentro una specie di parentesi di due, di tre giorni e fors'anche più: morto di là, a Miragno, come Mattia Pascal; morto di qua, a Roma, come Adriano Meis. Non sapendo che fare, sperando di distrarmi un po' da tante costernazioni, portai questi due morti a spasso per Pisa. Oh, fu una piacevolissima passeggiata! Adriano Meis, che c'era stato, voleva quasi quasi far da guida e da cicerone a Mattia Pascal; ma questi oppresso da tante cose che andava rivolgendo in mente, si scrollava con fosche maniere, scoteva un braccio come per levarsi di torno quell'ombra esosa, capelluta, in abito lungo, col cappellaccio a larghe tese e con gli occhiali. « Va' via! va'! Tornatene al fiume, affogato! » Ma ricordavo che anche Adriano Meis, passeggiando due anni addietro per le vie di Pisa, s'era sentito importunato, infastidito allo stesso modo dall'ombra, ugualmente esosa, di Mattia Pascal, e avrebbe voluto con lo stesso gesto cavarsela dai piedi, ricacciandola nella gora del molino, là, alla Stìa. Il meglio era non dar confidenza a nessuno dei due. O bianco campanile, tu potevi pendere da una parte; io, tra quei due, né di qua né di là. Come Dio volle, arrivai finalmente a superare quella nuova interminabile nottata d'ambascia e ad avere in mano i giornali di Roma. Non dirò che, alla lettura, mi tranquillassi: non potevo. La costernazione che mi teneva, fu però presto ovviata dal vedere che alla notizia del mio suicidio i giornali avevano dato le proporzioni d'uno dei soliti fatti di cronaca. Dicevano tutti, sù per giù, la stessa cosa: del cappello, del bastone trovati sul Ponte Margherita, col laconico bigliettino; ch'ero torinese, uomo alquanto singolare, e che s'ignoravano le ragioni che mi avevano spinto al triste passo. Uno però avanzava la supposizione che ci fosse di mezzo una « ragione intima », fondandosi sul « diverbio con un giovane pittore spagnuolo, in casa di un notissimo personaggio del mondo clericale ». Un altro diceva « probabilmente per dissesti finanziarii ». Notizie vaghe, insomma, e brevi. Solo un giornale del mattino, solito di narrar diffusamente i fatti del giorno, accennava « alla sorpresa e al dolore della famiglia del cavalier Anselmo Paleari, caposezione al Ministero della pubblica istruzione, ora a riposo, presso cui il Meis abitava, molto stimato per il suo riserbo e pe' suoi modi cortesi ». - Grazie! - Anche questo giornale, riferendo la sfida corsa col pittore spagnuolo M. B., lasciava intendere che la ragione del suicidio dovesse cercarsi in una segreta passione amorosa. M'ero ucciso per Pepita Pantogada, insomma. Ma, alla fine, meglio così. Il nome d'Adriana non era venuto fuori, né s'era fatto alcun cenno de' miei biglietti di banca. La questura dunque, avrebbe indagato nascostamente. Ma su quali tracce? Potevo partire per Oneglia. Trovai Roberto in villa, per la vendemmia. Quel ch'io provassi nel rivedere la mia bella riviera, in cui credevo di non dover più metter piede, sarà facile intendere. Ma la gioja m'era turbata dall'ansia d'arrivare, dall'apprensione d'esser riconosciuto per via da qualche estraneo prima che dai parenti, dall'emozione di punto in punto crescente che mi cagionava il pensiero di ciò che avrebbero essi provato nel rivedermi vivo, d'un tratto, innanzi a loro. Mi s'annebbiava la vista, a pensarci, mi s'oscuravano il cielo e il mare, il sangue mi frizzava per le vene, il cuore mi batteva in tumulto. E mi pareva di non arrivar mai! Quando, finalmente, il servo venne ad aprire il cancello della graziosa villa, recata in dote a Berto dalla moglie, mi sembrò, attraversando il viale, ch'io tornassi veramente dall'altro mondo. - Favorisca, - mi disse il servo, cedendomi il passo su l'entrata della villa. - Chi debbo annunziare? Non mi trovai più in gola la voce per rispondergli. Nascondendo lo sforzo con un sorriso, balbettai: - Di'... dite... ditegli che... sì, c'è... c'è... un suo amico... intimo, che... che viene da lontano... Così... Per lo meno quel servo dovette credermi balbuziente. Depose la mia valigia accanto all'attaccapanni e m'invitò a entrare nel salotto lì presso. Fremevo nell'attesa, ridevo, sbuffavo, mi guardavo attorno, in quel salottino chiaro, ben messo, arredato di mobili nuovi di lacca verdina. Vidi a un tratto, su la soglia dell'uscio per cui ero entrato un bel bimbetto, di circa quattr'anni, con un piccolo annaffiatojo in una mano e un rastrellino nell'altra. Mi guardava con tanto d'occhi. Provai una tenerezza indicibile: doveva essere un mio nipotino, il figlio maggiore di Berto; mi chinai, gli accennai con la mano di farsi avanti; ma gli feci paura; scappò via. Sentii in quel punto schiudere l'altro uscio del salotto. Mi rizzai, gli occhi mi s'intorbidarono dalla commozione, una specie di riso convulso mi gorgogliò in gola. Roberto era rimasto innanzi a me, turbato, quasi stordito. - Con chi...? - fece. - Berto! - gli gridai, aprendo le braccia. - Non mi riconosci? Diventò pallidissimo, al suono della mia voce, si passò rapidamente una mano su la fronte e su gli occhi, vacillò, balbettando: - Com'è... com'è... com'è? Ma io fui pronto a sorreggerlo, quantunque egli si traesse indietro, quasi per paura. - Son io! Mattia! non aver paura! Non sono morto... Mi vedi? Toccami! Sono io, Roberto. Non sono mai stato più vivo d'adesso! Sù, sù, sù... - Mattia! Mattia! Mattia! - prese a dire il povero Berto, non credendo ancora agli occhi suoi. - Ma com'è? Tu? Oh Dio... com'è? Fratello mio! Caro Mattia! E m'abbracciò forte, forte, forte. Mi misi a piangere come un bambino. - Com'è? - riprese a domandar Berto che piangeva anche lui. - Com'è? com'è? - Eccomi qua... Vedi? Son tornato... non dall'altro mondo, no... sono stato sempre in questo mondaccio... Sù... Ora ti dirò... Tenendomi forte per le braccia, col volto pieno di lagrime, Roberto mi guardava ancora trasecolato: - Ma come... se là...? - Non ero io... Ti dirò. M'hanno scambiato... lo ero lontano da Miragno e ho saputo, come l'hai saputo forse tu, da un giornale, il mio suicidio alla Stìa. - Non eri dunque tu? - esclamò Berto. - E che hai fatto? - Il morto. Sta' zitto. Ti racconterò tutto. Per ora non posso. Ti dico questo soltanto, che sono andato di qua e di là, credendomi felice, dapprima, sai?: poi, per... per tante vicissitudini, mi sono accorto che avevo sbagliato, che fare il morto non è una bella professione: ed eccomi qua: mi rifaccio vivo . - Mattia, l'ho sempre detto io, Mattia, matto... Matto! matto! matto! - esclamò Berto. - Ah che gioja m'hai dato! Chi poteva aspettarsela? Mattia vivo... qua! Ma sai che non ci so credere ancora? Lasciati guardare... Mi sembri un altro! - Vedi che mi sono aggiustato anche l'occhio? - Ah già, sì... per questo mi pareva... non so... ti guardavo, ti guardavo... Benone! Sù, andiamo di là, da mia moglie... Oh! Ma aspetta... tu... Si fermò improvvisamente e mi guardò, sconvolto: - Tu vuoi tornare a Miragno? - Certamente, stasera. - Dunque non sai nulla? Si coprì il volto con le mani e gemette: - Disgraziato! Che hai fatto... che hai fatto...? Ma non sai che tua moglie...? - Morta? - esclamai, restando. - No! Peggio! Ha... ha ripreso marito! Trasecolai. - Marito? - Sì, Pomino! Ho ricevuto la partecipazione. Sarà più d'un anno. - Pomino? Pomino, marito di... - balbettai; ma subito un riso amaro, come un rigurgito di bile, mi saltò alla gola, e risi, risi fragorosamente. Roberto mi guardava sbalordito, forse temendo che fossi levato di cervello. - Ridi? - Ma si! ma sì! ma sì! - gli gridai, scotendolo per le braccia. - Tanto meglio! Questo è il colmo della mia fortuna! - Che dici? - scattò Roberto, quasi rabbiosamente. - Fortuna? Ma se tu ora vai lì... - Subito ci corro, figùrati! - Ma non sai dunque che ti tocca a riprendertela? - Io? Come! - Ma certo! - raffermò Berto, mentre sbalordito lo guardavo io, ora, a mia volta. - Il secondo matrimonio s'annulla, e tu sei obbligato a riprendertela. Sentii sconvolgermi tutto. - Come! Che legge è questa? - gridai. - Mia moglie si rimarita, ed io.. Ma che? Sta' zitto! Non è possibile! - E io ti dico invece che è proprio così! - sostenne Berto. - Aspetta: c'è di là mio cognato. Te lo spiegherà meglio lui, che è dottore in legge. Vieni... o meglio, no: attendi un po' qua: mia moglie è incinta; non vorrei che, per quanto ti conosca poco, le potesse far male un'impressione troppo forte... Vado a prevenirla... Attendi, eh? E mi tenne la mano fin sulla soglia dell'uscio, come se temesse ancora, che - lasciandomi per un momento - io potessi sparir di nuovo. Rimasto solo, mi misi a fare in quel salottino le volte del leone. « Rimaritata! con Pomino! Ma sicuro... Anche la stessa moglie. Lui - eh già! - la aveva amata prima. Non gli sarà parso vero! E anche lei... figuriamoci! Ricca, moglie di Pomino... E mentre lei qua s'era rimaritata, io là a Roma... E ora devo riprendermela! Ma possibile? » Poco dopo, Roberto venne a chiamarmi tutto esultante. Ero ormai però tanto scombussolato da questa notizia inattesa, che non potei rispondere alla festa che mi fecero mia cognata e la madre e il fratello di lei. Berto se n'accorse, e interpellò subito il cognato su ciò che mi premeva soprattutto di sapere. - Ma che legge è questa? - proruppi ancora una volta. - Scusi! Questa è legge turca! Il giovane avvocato sorrise, rassettandosi le lenti sul naso, con aria di superiorità. - Ma pure è così, - mi rispose. - Roberto ha ragione. Non rammento con precisione l'articolo, ma il caso è previsto dal codice: il secondo matrimonio diventa nullo, alla ricomparsa del primo coniuge. - E io devo riprendermi, - esclamai irosamente, - una donna che, a saputa di tutti, è stata per un anno intero in funzione di moglie con un altr'uomo, il quale... - Ma per colpa sua, scusi, caro signor Pascal! - m'interruppe l'avvocatino, sempre sorridente. - Per colpa mia? Come? - feci io. - Quella buona donna sbaglia, prima di tutto, riconoscendomi nel cadavere d'un disgraziato che s'annega, poi s'affretta a riprender marito, e la colpa è mia? e io devo riprendermela? - Certo, - replicò quegli, - dal momento che lei, signor Pascal, non volle correggere a tempo, prima cioè del termine prescritto dalla legge per contrarre un secondo matrimonio, lo sbaglio di sua moglie, sbaglio che poté anche - non nego - essere in mala fede. Lei lo accettò, quel falso riconoscimento, e se ne avvalse... Oh, badi: io la lodo di questo: per me ha fatto benissimo. Mi fa specie, anzi, che lei ritorni a ingarbugliarsi nell'intrico di queste nostre stupide leggi sociali. Io, ne' panni suoi, non mi sarei fatto più vivo. La calma, la saccenteria spavalda di questo giovanottino laureato di fresco m'irritarono. - Ma perché lei non sa che cosa voglia dire! - gli risposi, scrollando le spalle. - Come! - riprese lui. - Si può dare maggior fortuna, maggior felicità di questa? - Sì, la provi! la provi! - esclamai, voltandomi verso Berto, per piantarlo lì, con la sua presunzione. Ma anche da questo lato trovai spine. - Oh, a proposito, - mi domandò mio fratello, - e come hai fatto, in tutto questo tempo, per...? E stropicciò il pollice e l'indice, per significare quattrini. - Come ho fatto? - gli risposi. - Storia lunga! Non sono adesso in condizione di narrartela. Ma ne ho avuti, sai? quattrini, e ne ho ancora: non credere dunque ch'io ritorni ora a Miragno perché ne sia a corto! - Ah, ti ostini a tornarci? - insistette Berto, - anche dopo queste notizie? - Ma si sa che ci torno! - esclamai. - Ti pare che dopo quello che ho sperimentato e sofferto, voglia fare ancora il morto? No, caro mio: là, là; voglio le mie carte in regola, voglio risentirmi vivo, ben vivo, e anche a costo di riprendermi la moglie. Di, un po', è ancora viva la madre... la vedova Pescatore ? - Oh, non so, - mi rispose Berto. - Comprenderai che, dopo il secondo matrimonio... Ma credo di sì, che sia viva... - Mi sento meglio! - esclamai. - Ma non importa! Mi vendicherò! Non son più quello di prima, sai? Soltanto mi dispiace che sarà una fortuna per quell'imbecille di Pomino! Risero tutti. Il servo venne intanto ad annunziare ch'era in tavola. Dovetti fermarmi a desinare; ma fremevo di tanta impazienza, che non m'accorsi nemmeno di mangiare; sentii però infine che avevo divorato. La fiera, in me, s'era rifocillata, per prepararsi all'imminente assalto. Berto mi propose di trattenermi almeno per quella sera in villa: la mattina seguente saremmo andati insieme a Miragno. Voleva godersi la scena del mio ritorno impreveduto alla vita, quel mio piombar come un nibbio là sul nido di Pomino. Ma io non tenevo più alle mosse, e non volli saperne: lo pregai di lasciarmi andar solo, e quella sera stessa, senz'altro indugio. Partii col treno delle otto: fra mezz'ora, a Miragno.

XVII. Reincarnation

I reached the station in time for the Pisa express that left shortly after midnight. I bought my ticket and found a corner seat in a second−class compartment. There I took my place at once, sitting with the visor of my cap pulled down over my eyes, not so much in fear of being seen as of seeing. But I could see just the same, in my mind's eye: I could see the broad−brimmed hat and the cane lying there on the parapet of the bridge where I had left them. Already, at that very moment perhaps, someone was passing and would notice them; or perhaps, a policeman on patrol had found them and given the alarm at the station−house! And I was still in Rome! What might be the outcome? I could scarcely breathe in my anxiety. But at last the train started, with a jerk. Thank Heaven! I was alone in the compartment! I sprang to my feet, raised my arms above my head, and as though a millstone had suddenly been removed from my chest, drew one long endless breath of relief. Ah! At last I was alive again—myself: Mattia Pascal. I could shout it out loud to everybody now: I, I, Mattia Pascal! I am not dead! Look at me: here I am: Mattia Pascal! Oh, no fear henceforth of self−betrayal! And I was through with falsehood and deceit! Not just yet, to be sure—not, really, till I should reach Miragno! There I must first declare myself, have my status as a living person recognized, regraft my life to its buried roots. What a crazy notion! The idea of ever supposing I could live apart from my original personality! And yet, and yet—see the way it goes: on my other journey, the trip from Alenga to Turin, I had thought myself just as happy as I felt now! Lunatic! “Freedom! Freedom!” So I had said—thinking of it as a liberation from all that had been! Freedom! Bah! A pretty freedom—with the leaden weight of falsehood on my shoulders—a leaden mantle for a ghost in Malebolge! Well, now I would be getting a wife back again, and that mother−in−law.... But hadn't I felt their presence just as keenly when a “dead” man? Now, at least, I was alive, and with some experience in warfare. We'll see! We'll see! As I thought of the matter now, it seemed hardly believable that I could have cut myself off from society in such a frivolous, haphazard, nonchalant way, two years before. And I pictured myself as I had been during those first days, blissfully happy in my carefree world in Turin (a world of madness, I could see it was now!); and then, as I gradually became later on in my wanderings from town to town—silent, solitary, shut up in the enjoyment of what I then thought was happiness; then Germany, the Rhine, on an excursion steamer.... Was that a dream? By no means! Gospel truth! I had been there! Ah, had I been able to live on in that state of mind, traveling forever as a visitor to this life! But soon afterwards, at Milan... that poor puppy I had wanted to buy from the old match−seller.... Yes, I was beginning to understand, even then.... And after that... ah, yes: after that! In one leap, my mind was back in Rome.... I saw myself stealing like a ghost into my deserted house. Were they all abed, and sleeping? All except Adriana, probably! She would be waiting up for me to come home. Surely they must have told her I had gone off looking for two seconds, for a duel with Bernaldez. She had not heard me come in yet. She would be afraid, and in tears.... I pressed my hands to my face as a violent pang clutched at my heart.... “Oh, my Adriana, my little Adriana!” I groaned. “And yet, for you I could never really be alive. Better therefore if you know that I am dead, that those lips are dead which once snatched a kiss from yours. Poor Adriana! Oh, try to forget me! Try to forget!” What would happen in the house next morning, when a policeman would come to investigate my suicide? What reason, in their first stupefaction, would they give to account for it? The duel I was about to have? No, that would hardly seem convincing. Strange, to say the least, that a man who had never shown himself a coward, should kill himself rather than fight! Well then? Perhaps because I had not found my seconds? Nonsense! So then... who knows?... there was probably some mystery at the bottom of the strange life I led.... Yes, yes, that conclusion was inevitable. Here I was, killing myself, without any apparent reason, without having betrayed the remotest intention of so doing. Oh, to be sure, I had been acting rather queerly—that mixup over the money, first claiming it was stolen and then saying I had found it again.... But... “Do you suppose the money didn't really belong to him? Perhaps he had to pay it back to somebody, and was working up an excuse—saying they had stolen it... later on, repenting, and finally killing himself? You never can tell! One thing certain—he was a most mysterious man: never a friend to call on him, never a letter, at any time, from anybody...” How much better it would have been, had I written something on that note—a word or two besides my name, my address, and the date—some reason or other for my suicide.... But at that time and in that place!... And what reason, if you come to that? “Who knows what the newspapers will say,” I thought, my mind jumping from point to point. “What a fuss they can make over this mysterious Adriano Meis! One thing I may be sure of: my cousin, Mr. Prancesco Meis, of Turin, the assistant tax collector, will step forward to tell all he knows, and more too. They will follow that clue—and who can guess what will come of it? Yes, but the money—the money I ought to leave someone? Adriana saw all the bills I had.... Poor Papiano! A bee−line for the cabinet ... only to find it empty! So then—lost? In the river on his body? What a shame! What a pity! How mad Papiano will be that he didn't steal everything at once! The police will take charge of my clothes and books. ... Who will get them in the end! Oh, some little thing at least, for Adriana—just as a remembrance! What anguish for her now to look in at my deserted room...!” So I rambled on from supposition to supposition, from memory to memory, from fear to fear, as my train sped northward. I could not sleep from the tumult of emotions within me. I considered it prudent to stop off for some days in Pisa to avoid any chance association of the reappearance of Mattia Pascal in Miragno with the disappearance of Adriano Meis in Rome, a relationship likely to occur to someone if the newspapers of the capital made any great feature of my suicide. At Pisa I could see both the morning and evening editions. If no particular mention was made of Adriano Meis, I would go on to Oneglia, before turning toward home, to try out on brother Berto the effect of my resurrection. But even to him I must avoid making the slightest reference to my residence in Rome, to my adventures there, and their outcome. The two years and some months of my absence I could fill in with fantastic stories of distant travels abroad.... And now alive again, I could take an honest pleasure in lying, bragging even of prowesses beyond those of Mr. Tito Lenzi, Chevalier of the Crown! Fifty−two thousand lire left! Surely my creditors, supposing me to be dead, had helped themselves to the remaining title I had to “The Coops” and the mill. The sale of that property had probably realized enough to satisfy them after a fashion. No, they wouldn't trouble me any more. And I would take care to avoid messes in the future you may be sure! Fifty−two thousand lire! That amount of money in a place like Miragno.... Couldn't call it wealth, exactly... but a good comfortable living, and some to spare!... On getting out of the train at Pisa, my first move was to buy a hat of the style and dimensions that the late Mattia Pascal had worn in his time; and my second was to make for a barber−shop to get the long hair of that imbecile, Adriano Meis, off my head. “A nice close clip, eh?” I suggested to the barber. My beard had already come out a bit; and with my hair short, again, I was beginning to look natural—natural, with a bit of an improvement, perhaps: a little more sleek and natty, a shade more genteel.... For one thing, I had had my eye fixed. In that respect, I had lost one of the distinctive features of the late Mattia Pascal. Something of Adriano Meis there would always be in my face; but, for the rest, how like brother Berto I looked!... I should never have dreamed of such a close resemblance! In order not to present myself in too evident transiency at a hotel, I bought a travelling bag, with the further thought that I could use it for the suit and overcoat I was wearing at the moment. I would have to get a brand new outfit. Small chance there would be that my wife, at Miragno, had kept any of my clothes this length of time. I bought a ready−made suit in a store and kept it on, proceeding to the Hotel Neptune with my new valise. I had been at Pisa once as Adriano Meis, and on that occasion I had stopped at the Hotel London. Now there was nothing in the city to interest me as a sightseer. Fatigued with my night's journey and the nerve−racking experiences of my previous day, when I had quite forgotten to eat, I took a quick breakfast and went straight to bed. I slept till late afternoon; and when I awoke it was with a horrible sense of depression and anguish. I had passed that critical day in deep unconscious slumber—but how had things been going back there in the Paleari household? Confusion, dismay, the morbid curiosity of strangers, suspicions, hypotheses, insinuations, fruitless investigations; my clothes and my books fingered and stared at with the consternation which the exhibits in a tragedy always inspire! And I had been sleeping! And I would have to wait in my present impatience till the following morning to see what the Roman newspapers had to say. Since I dared not go on to Miragno nor even as far as Oneglia I would have to remain for two, three, who knows how many days, in a fine condition—dead, in Miragno, as Mattia Pascal; dead in Rome as Adriano Meis! Having nothing else to do, I thought I would take my two corpses to walk about the streets of Pisa. And it was a pleasant diversion, I can tell you. Adriano Meis, as I said, knew Pisa like a book and he insisted on playing guide and barker to Mattia Pascal; but the latter, with so many troublesome things on his mind, was in a detestable humor for sight−seeing; and he kept shooing away that annoying ghost in the blue glasses, the long coat, and the broad−brimmed hat: “Ugh! Back to your river, sir! Don't you know you're drowned?” But then I remembered that Adriano Meis, on his walks through those self−same streets two years before, had been just as bored with the importunities of Mattia Pascal, whom, with the same ill−humor, he had tried to shove down under the water again in the mill−flume of Miragno. As for me, I thought it better not to decide between them. O white and shining Tower of Pisa! You might lean to one side if you chose! But I? Erect, impartial, between the two impulses tugging at me! The next morning, when they got plenty good and ready, the papers from Rome began coming in. I will not aver that on reading what they said of me my mind was put quite at ease: that was too much to hope for. But I was glad to note that my suicide was treated everywhere as one of the routine items in the daily news. They all said much the same thing: that a hat, a cane and a laconic note had been found on the Ponte Margherita; that I came from Turin; that I was an eccentric individual; that no reason for my desperate action could be established. One notice, indeed, went so far as to suggest that some “matter of the heart” was probably involved, since “the man Meis came to blows the day before with a young Spanish painter in the house of a gentleman well known in Clerical circles.” Another reported that I had been “recently troubled by financial worries.” Nothing of consequence, in short. But an afternoon sheet, that liked an emotional note in all its articles, more unctuously expatiated on the “surprise and sorrow of the family of Chevalier Anselmo Paleari, executive−secretary, retired, under the Department of Education, with whom the man Meis resided, and who had learned to respect him for his distinguished bearing and his kindly regard for those about him.” (Thank you!) The same article also reported the challenge I had received from “the Spanish painter, signer M. B.” and hinted that my suicide was due to “some secret and hopeless passion.” So I had killed myself for Pepita Pantogada! Well, better that way! Better that way! Adriana's name had not been dragged into the affair, nor was there any reference to the theft. The police of course would pursue their investigations; but on what cluest I could start for Oneglia without fear. * * * On calling at Roberto's town house, I found that he was at his farm in the country for the vintage. My joy on returning to my old haunts, which I had thought I would never see again, may well be imagined; though I was not a little disturbed by my eagerness to hurry; by my fear of being recognized by some old acquaintance before I had a chance to surprise my relatives; by my foretaste of the emotion they would probably feel on suddenly finding me alive again in their presence. In fact, my excitement soon reached such a pitch that I was hardly my normal self. Everything seemed to be swimming before my eyes, and my blood ran cold. Would I never get there? When I rang at the gate of the pretty villa which Berto had annexed along with his wife, I had the sensation of being back at last in a real world. The butler answered the bell. “Come right in, please!” said he, standing aside to hold the gate open. “Who shall I say is calling?” My voice failed me quite; but with a smile that I forced, to conceal some of my agitation, I managed to stammer: “Why... er... say... say it's... it's a friend ... an old friend of his... from a long way off... yes... that will do...” At least the butler must have thought I was tongue−tied; but he showed me to a seat in the parlor, setting my valise on the floor near the hat rack. I was now beside myself with impatience and anticipation, laughing, panting, gazing around at the bright, comfortably furnished room in which I was sitting. Would Berto never come? Suddenly I heard a sound in the doorway through which I had entered. It was a little child, perhaps four years old, with a toy watering−pot in one hand and a toy rake in the other. He was looking at me with all the eyes he had. A thrill of indescribable tenderness swept through me. My little nephew! Berto's oldest boy! I leaned toward him affectionately and motioned to him with my hand. But he was scared and ran away as fast as his legs could carry him. But then I heard another door open and close. I rose to my feet, my eyes dim with tears, a convulsive grip, half laughter and half sob, catching at my throat. Roberto was before me. “With whom have I the hon...” he began. “Berto!” I cried, opening my arms. “Berto, don't you know me?” At the sound of my voice, Berto turned white as a sheet, rapidly passed a hand across his eyes and forehead, and tottered as though about to fall: “Wh−wh−why! Wh−wh−why−y!” I rushed forward to support him, but he drew back in sheer terror. “But it's I—Mattia! Don't be afraid! I'm not dead! See? Touch me! It's I, Roberto! I was never more alive! There now, there now, there now!” “Mattia! Mattia! Mattia!” my poor brother at last was able to cry, not yet ready quite to believe his eyes. “You? What in the world?... Oh! My brother! Mattia! Mattia!” His arms were about me squeezing me till it hurt. I broke down and stood weeping like a child. “But... tell me...” Berto at last murmured through his sobs... “Tell me! Tell me!” “Well, it's I, don't you see? Back again! Not from the other world, oh no! I never left this disgusting one! Brace up, now! And I 'll tell you!” But Berto would not let go of me. His hands clutching at my arms, he looked up into my face, in utter bewilderment: “But... there... at the mill...” “It wasn't I!... I'll tell you. They got it wrong. I was miles from Miragno at the time; but I heard about it, as you probably did, through the papers... my suicide in the Flume....”; “And it wasn't you?...” Berto asked in a more normal voice. “What have you been up to?” “Playing dead! But don't make too much noise. I'll give you the whole story, later on. I can't, right now. I'll say this much: that I knocked about, here and there, thinking myself happy at first, you know. Then ... well... from a number of things, I decided I had made a mistake, that playing dead was not all it was cracked up to be. So here I am! I've come to life again!” “Crazy, crazy, crazy... I always said so!” exclaimed Roberto with a smile. “But this is beyond me! You can't begin to understand how I feel, Mattia, my boy! You! My dead brother! You! Mattia!—Why, I can't believe it! Let me look at you! What's wrong? There's something different about you!” “There is!” said I. “I had that peeper of mine attended to!” “Ah yet, that's it! That's what puzzled me! I couldn't quite make you out! I don't know... your voice, all right... but I looked at you and the longer I looked.... Well! Well! Well!... But... come upstairs and surprise my wife... Oh... but say ... you...” He stopped suddenly and looked at me, his face filling with dismay: “You are going back to Miragno?” “Of course I am... this afternoon!” “So you don't know, then?” He pressed his hands to his face and groaned: “You rascal! What have you done! What have you done! Don't you know that your wife...?” “Dead?” I exclaimed in a paroxysm of mingled fear and eagerness. “Worse! Worse!” said he. “She is... she's married!” I was dumfounded. “Married?” “Married! To Pomino! I got the announcement! A year or more ago!” “Pomino? Pomino? Married to Ro...” I stammered. But a bitter, bitter laugh seemed to form inside me and gurgle up slowly from about my middle. At last it reached my throat and my lips. I laughed thunderously. Roberto stood looking at me, afraid perhaps that I might really have lost my mind. “You are glad?” he asked. “Glad?” I bellowed. “Glad is no name for it!” And I shook him by the arm. “This news caps the climax of my good fortune!” “What are you talking about?” exclaimed Roberto, almost angrily. “What good fortune? But you say you are going there...” “Of course I am! This minute!” “But don't you understand? You've got to take her back!” “I've got to take her back? What do you mean?” “You bet you have!” Eoberto insisted. “This second marriage will be annulled and you will be obliged to take her back.” It was my turn to fall from the clouds; and the bump I received on landing was not a pleasant one. “What are you trying to tell me?” I cried fiercely. “My wife gets married again and I... Oh say, come now! That can't be so! What crazy law...” “It's just as I'm telling you,” Berto affirmed. “Wait! My wife's brother is right here. He's a lawyer, and he'll explain the situation better than I can. Come along... or rather, no, you wait here.... My wife is not very well. Perhaps it would be better not to surprise her.... I'll break the news gently.... So you just sit down, eh?” But he clung to me till he was well outside the door, as though he were afraid that if he released me for a second I might disappear again. Left to myself I began going round and round the room like a caged lion. “Married again! And to Pomino!... Of course, just like him!... The same wife, this time!... He, to be sure, fell in love with her first.... And she... well, why not? Rich, and wife of a Pomino!... And while she was getting another husband here at home. ... I, in Rome.... And now I take her back!... That's a good one!” Shortly Roberto came hurrying in at the head of a procession. I was so much upset by this time that I hardly acknowledged the welcome his wife and her family were giving me. Berto noticed my distraction, and appealed to his brother−in−law on the point I had so much at heart. “But what kind of a law do you call that?” I interrupted after a time. “Are we governed by Turks?” “That's the law!” the man answered with a smile. “Roberto is right. I can't quote the article word for word, but the case is provided for in the Code. The second marriage becomes null and void on the reappearance of the first spouse.” “So then,” I stormed ironically. “I must take back unto myself a woman, a woman, who, to common knowledge, has been functioning for a year or more as wife to another man, said man...” “But through a fault of yours, if I may say so, my dear Mr. Pascal!” the lawyer rejoined with another smile. “Why my fault?” said I. “Why my fault? That estimable lady first makes a false identification of a poor devil who has fallen into a pond. Then she hurries to take out a license to marry another man! And it's my fault? And I must take her back again?” “You must,” replied the lawyer; “and you are responsible since you, Mr. Pascal, did not see fit, within the time prescribed by law for contracting a second marriage, to correct the mistake your wife made, a mistake, which, I grant you, may well have been in bad faith. You accepted her false identification, and took advantage of it. Oh, as for that, notice now—I am not saying you did wrong. On the contrary, I think you acted quite properly under the circumstances. I am surprised, rather, that you seem inclined to go home again and get mixed up with the stupid laws regulating such matters. If I were you, I would never show up again.” The coolness of this young graduate of the law schools, the pedantic cocksureness with which he talked, at last began to anger me. “That's because you don't know what it all means!” I replied with a shrug of my shoulders. “Why,” said he, “I can't imagine a greater piece of good luck than the one which came to you.” “You're welcome to try it for yourself,” I answered, turning to Roberto without excusing myself. But trouble was waiting for me with my brother as well. “By the way,” Berto asked me, “how did you get along all this time?” And he rubbed his thumb with his forefinger to suggest “money.” “How did I get along?” I answered. “That's a long story! I haven't time or patience for it now. But I had plenty to live on, and I have some still. I hope you don't think I'm coming home because I'm hard up!” “So you're really going to Miragno?” Berto persisted. “Even after what I told you?” “I certainly am,” I exclaimed. “Do you think that after all I've been through I intend to go on playing dead? Not by a long shot! No sir! I'm going to get toy papers straightened out, see that the record is clear, feel myself alive again, alive and kicking—even at the cost of taking back my wife. By the way, is the old lady still alive—the widow Pescatore?” “Ah, that I couldn't say,” answered Roberto. “You understand that after your wife married again.... But so far as I know she is...” “You give me cheerful news,” I remarked. “But never mind! I'll square accounts with her. I'm not the chap I once was, you know. But I do hate to do a favor to that fool of a Pomino by taking her off his hands!” A general laugh! The butler came in to announce that dinner was served. There was no refusing, though. I was so impatient to get on I scarcely tasted my food. But afterwards I noticed that I must have eaten well. The animal in me was awakening to the prospect of imminent combat! Berto was all for keeping me with him at least for that one night, offering to go on with me the following morning. He was keen to witness the effect of my sudden swoop down upon the peaceful household of Pomino. But I could not think of such a thing. I insisted on proceeding alone that very night and without more delay. I took the eight o'clock train and in half an hour was at Miragno.






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